Come se si dovesse scegliere tra il sentire e l'essere.
Ed essere lontani da entrambi.
La nostra sagoma è vessillo di futuro.
Siamo da riempire di vita.
Come sacchi affamati.
E gronda miseramente di passato.
Quella sagoma.
Deforme bolla del tempo.
Ondeggia e si contorce.
Morsa dal bisogno.
Come se fossimo risucchiati.
Dalla voglia di non farci dimenticare.
Incidiamo l'aria con pensieri.
E ciechi torniamo indietro.
A caccia dei segni.
Ascolto la mia mente.
E i suoi passi.
Le chiedo di tacere.
Di fermarsi.
Voglio un silenzio.
Concreto.
Da poter stringere tra le mani.
Di cui nutrirsi.
Quando si ha fame d'amore.
E io sono bulimica.
Mi spingo nel vuoto.
Pochi i colori.
Le pretese li hanno slinguati.
Masticati.
Ma il vuoto mi consola.
Con il suo cuore di vuoto.
Asciuga le mie lacrime.
Tremanti cristalli della perdita.
Tintinnano.
Sembrano parole.
Sono così concrete.
Come il vuoto che sento.
Qui.
Si traduce in carne.
E brividi.
Fiumi di assenza.
Impotenza.
Simula il dolore.
Molto meno astratto della realtà.
Sillabe.
La mia voce rotola sulle mia labbra.
Ne segna i contorni.
I confini dall'anima.
La annuso.
E annuso le parole che non ho detto.
Spiegare a volte significa srotolarsi l'anima.
E il nodo è troppo stretto.
Ancora.
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