Da piccina, spesso, guardavo le case. Le case degli altri. Fatte di mattoni rossi. E mi spingevo. Oltre le tende. Le finestre. I muri. Ai piedi di quelle case le contemplavo. E scavavo le loro fondamenta.
Oltre. Era già maestra dell'oltre. Di tentativi. Ad occhi chiusi. Con il mio sciame di farfalle immaginarie. Amiche di giochi. Da ammaestrare. Mi fingevo farfalla tra farfalle. Ma non avevo le ali. Non le avrei mai avute. Allora non lo sapevo ancora. E mi riempivo la mente di colori. Annusando un futuro. Uno qualsiasi.
Immaginavo. Sognavo. Vite diverse. Tutte molto semplici. Ho sempre amato le cose semplici. Elementari ed essenziali. Pochi colori da abbinare. Con un gran senso dell'inutile. Quasi radicato. Mi scorreva nelle vene un inequivocabile senso della semplicità. Che sottende e sfugge ad ogni logica. Come la fiducia.
Non sapevo ancora quanto fosse semplice azzannarmi il cuore.
Pensavo alla vita in quella casa. Oltre la coltre di una intimità sconosciuta. Penetravo nell'ignoto. Una più o meno innocente trasgressione.
Là. Con la mia famiglia dentro. Gli stessi. Ma diversi. Magari intorno a quel tavolo. Con la tovaglia a quadri rossi. La nostra era bianca. Con le macchie di vino da smacchiare. E lo scolapasta giallo nel lavello. I piatti integri e silenziosi. Su quell'altro tavolo. Tutti attenti ad ascoltare il telegiornale.
Ma non permettevo a quella famiglia di stare nella mia di casa.
Inevitabilmente nostra.
Bagnata dalla nostra vita e della nostra intimità.
A nessuno. Perchè nessuno avrebbe capito. Nessuno può. Anche ora. Districarsi in labirinti di amore e violenza e fragilità. Senza intervalli. Tutto è possibile. Dentro. Permettere a tutti, ogni volta, di accomodarsi al mio desco e farne scempio.
Se fossi cresciuta dentro muri diversi, sarei stata diversa?
Quanto conta l'involucro?
E questa pelle che mi comprime è il muro di me stessa?
Gli unici muri che ho sempre sognato sono quelli fatti di aria.
Forse, proprio come me.
Sono solo inconsistente aria.
All'aria si può fare di tutto.
Non reagisce.
Sono aria e sangue.
E un dedalo di carne equivoca.
E non mi accorgo.
Di superare i limiti.
Di forzare.
Di soffocare.
Di strappare fili di amore.
Non miei.
In preda alla mia sconfinata fame di amore,
mendico.
Confusi subito l'amore con il possesso e la voglia di farsi del male.
Ancora adesso non lo so cosa sia l'amore.
Anche quello per me stessa.
E' cresciuto dentro di me così maledettamente mischiato
ed incastrato a tanto altro.
Come una pianta dal fusto contorto.
Poca luce.
Poco spazio.
Poco tutto.
Sempre troppo poco.
Commisurato al bisogno.
Poco per i miei rami.
Destinati a spezzarsi.
O a restare senza frutto.
Ripeto.
Da piccina, spesso, guardavo le case. Le case degli altri. E mi spingevo oltre le tende. Le finestre. I muri. Immaginavo. Sognavo. Vite diverse. Tutte molto semplici. Ho sempre amato le cose semplici. Elementari ed essenziali. Pochi colori da abbinare. Con un gran senso dell'inutile. Quasi radicato. Attingevo da un solo grande cesto. Bucato.Fino alle viscere della terra. Io e il fango.
Pensavo alla vita in quella casa. Oltre la coltre di una intimità sconosciuta. Con la mia famiglia dentro. Gli stessi. Ma diversi. Magari intorno a quel tavolo. Con la tovaglia a quadri rossi. La nostra era bianca. Con le macchie di vino da smacchiare. E lo scolapasta giallo nel lavello. E tutti i piatti integri. Su quell'altro tavolo. Nessun telegionale. Nessuna notizia. Niente di niente.
Ma non permettevo a quella famiglia di stare nella mia di casa.
Inevitabilmente nostra.
Nostra la gioia.
Nostro il dolore.
Nostro tutto quello che c'era.
E quello che non c'era.
E non ci sarebbe stato mai.
Ma non lo sapevo.
Non lo permettevo a nessuno. Perchè nessuno avrebbe capito. Nessuno può. Anche ora. Districarsi in labirinti di amore e violenza e fragilità. Senza intervalli. Tutto è possibile. Dentro.
Se fossi cresciuta dentro muri diversi, sarei stata diversa?
Quanto conta l'involucro?
Gli unici muri che ho sempre sognato sono quelli fatti di aria.
Forse, proprio come me.
Aria e sangue.
E un dedalo di carne equivoca.
E non mi accorgo.
Forse sì.
Di superare i limiti.
Di soffocare.
Di strappare fili di amore.
Non miei.
Vittima e carnefice.
No, solo stupida vittima.
Di me stessa.
Non illuderti.
Rimettiti la tua pelle.
Adesso, non indugiare.
Confusi subito l'amore con il possesso e la voglia di farsi del male.
Ancora adesso non lo so cosa sia l'amore.
Anche quello per me stessa.
E' cresciuto dentro di me così maledettamente mischiato
ed incastrato a tanto altro.
Come una pianta dal fusto contorto.
Poca luce.
Poco spazio.
Per i rami.
Destinati a spezzarsi.
O a restare senza frutto.
Ma quanti cuori può avere una donna?
Io quanti ne ho?
Dentro me abitano tante entità.
Essere amata nel modo sbagliato è come non essere amata.
L'unica casa che riesco a sognare oggi
è il domani.
No.
Il domani è una sporca bugia.
Non è nel mentire il più grande errore. L'unica casa che riesco a sognare oggi
è il domani.
No.
Il domani è una sporca bugia.
Non è nel mentire il più grande errore.
Ma nel negare di aver mentito.
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