martedì 17 febbraio 2009

Erano di neve quei biscotti. E io mangiai neve come se fosse delirio. Fatto di pura glassa. Mordevo delirio. La più ghiotta delle leccornie. Lo assaporai. Schiacciandolo sotto al palato. Friabile. Era fatto di strati di fragilità. E lo trattenevo fino a farlo sciogliere. E lasciandomelo scivolare. Leggero mi percorreva. Vena per vena. Conosceva il percorso. L'unico possibile. Adagiato il gelo dentro. Ero convinta di poter sciogliere. Tutto. Di averne la forza. Mangiai neve e silenzio. E non bastava mai. Avevo ancora fame. E molta strada da fare. Ma ero in viaggio. E pezzo dopo pezzo non c'ero tutta. Non più. Ma c'ero.





L'assenza da sé è un viaggio. Il viaggio nell'assenza sembra non finire mai. Confondi la partenza con l'arrivo. E continui a viaggiare. Ma io voglio scendere. Ma alla prossima fermata. Questa è troppo affollata. E io non voglio che mi vedano in queste condizioni. Sembro sbronza. Il finestrino è opaco. E io posso solo immaginare fuori prati di carbone. Aspetterò ancora una fermata. Una di periferia andrà bene. Ci sono abituata. Con le panchine di cemento dondolanti. Coperte di messaggi. Ognuno vuole lasciare un segno nelle vecchie stazioni. Anche i più ignobili.

Nessuno deve capire. Dopo una indigestione di neve io sono ancora fuoco.

E di fuoco vivo.

E' lui che ha distrutto dei pezzi di me.

Ma a primavera ne rinasceranno altri.

E non sarà dalla cenere.

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