Ho spento i miei colori. Li ho strisciato come mozziconi contro i muri. Lucida consapevolezza. Quasi follia. E il "quasi" mi urta sulle tempie. Rimbalza e scivola. Portando con sè tutto il resto. Ricama l'odore del mare. Sulle mie gote. Ecco cosa mancava. Era l'odore del mare a mancare. E la sua assenza fino agli angoli della bocca. Intrisi di quella assenza. Tanto pesante da saperli spingere in basso. Il mare reclama la sua riva. Ha fame. Ecco cosa mancava. Era la forza del mare. Capace di invadere e nascondere. E mangiare tutto. Mancava il suo senso di immenso. E la sua voglia di ricoprire tutto.
Mi sembra di sentire la sabbia tra le dita.
Come se fossi solo buio.
Sabbia e buio.
Annuso la salsedine che non c'è stata. E là mi disegno la forma delle parole. Come se fosse la pagina innocente di un libro.
Ma io li vedo i miei colori.
E' che sono gelosa della mia luce. E la impicco. Sono gelosa di tutto quello che mi sfiora. Di ogni conchiglia che si incastona sulla mia riva. E' maledetta debolezza questo orrore che mi stringe il cuore. Mi innietta il suo veleno nelle vene. E graffio la mia mente di paure. Quelle di sempre. Fatte un pò di vita e un pò no. L'antivita si insidia nei ricordi e li frantuma e te li infila sottopelle. Al posto sbagliato. E se ti muovi si infilano nei tuoi movimenti. La sabbia adesso è arrivata al cuore. Immobile. E' così che devo stare.
Ad ascoltare.
Le mie parole nude.
E le ascolto.
Ma non sento più.
Le vedo tremolanti e supplici.
Scivolano come lacrime mai piante.
E rotolano come i sorrisi che non ho saputo donare.
Spente tra i battiti del mio polso.
Ingoio parole.
E la loro forma.
Perchè le mie parole nude adesso tacciono.
Come se fossero vergogna.
E forse lo è.
E nuda è la mia bocca.
E nudo anche il cuore.
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