La notte è la coperta della mia fragilità. E là sotto ricompaiono tutti i pezzi di me che ho perso. Quelli che sento lontani. E hanno una voce sottile. Come se fosse una catena. E che mi sono stati rubati. Sono scivolati nel fiume dell'oblio. Galleggiando come foglie sparse e dimenticate. E il mio seno è sulla foglia della disperazione. Come un naufrago che vuole ribaltare la sua zattera. Nessuno li ricorda quei pezzi. E le foglie cercano i raggi del sole. A caccia dell'ultimo calore. Per affondare felici. Lo intrecciano alle loro dita. E sotto la coperta qualcosa si muove. Mi bacia la fronte. Mi rassicura. Sono farfalle invisibili. Ma a me basta sentirne l'odore quando mi si posano addosso. Nei miei vuoti. E mi sorrido. Non mi serve aprire gli occhi. In quell'istante so che è notte. Una notte sincera. Senza cancelli. E sbarre sulle mie labbra. E mi accarezzi. Perchè non hai paura dei miei pezzi arroganti ed indisciplinati. E la mia rabbia è là dove l'ho lasciata. A tremare di freddo nel sole. Tra le macerie. Quelle che modello con i denti. E la mia voglia di perdermi. Tutta. Solo per farmi ritrovare. Ho cucinato il perdono per noi. E ti ho donato una ustione. Bellissima a forma di cuore sul polso. Una succulenta appartenenza. Io l'ho vista la mia paura. La paura di essere abbandonata. Perchè qualcuno l'ha fatto tante vite fa. Mi ha lasciata quando era scientificamente esatta che mi stesse vicino. E allora gioco a riempire la distanza tra me e gli altri di splendide e ghiotte occasioni di abbandono. E chiudo porte di cartapesta. Per lasciarle sfondare. E mi godo il trionfo. Una solitudine perfetta. Tanto da farmi respirare dentro.
Bastava un parola.
L'altra l'avrei detta io.
Non mi fa paura.
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