Una ragnatela sul palmo della mano. Un guanto ignoto. E studio il cuore del ragno. Le dita si aprono come un fiore di carne. O forse solo come carta bagnata di aria e sangue. E sulle mie linee il ragno ricama. Gioca a disfarle. E io sento i suoi nodi. La sua presa. La stretta. Fino alle tempie. E il loro lento sciogliersi. Le dita si protendono. Osservano e chiedono pietà. Con le loro parole goffe. Non è una offerta. E' resa. Un fiume segreto irriga le mie caverne. E strappa erbe e detriti. E la terra canta il distacco. Le note si accavallano. Quasi cozzano. E il palmo è liscio come una tela. Da imbrattare. Di tempo. Lo spazio tra le pieghe dell'infinito. La sua claustrofobica apnea. Risvolti di ignoto. Il ragno passeggia tra le mie linee. In attesa dell'insetto che farà deviare il suo corso. O solo catturerà la sua attenzione. Tra linea e linea. Ci sono io. La virgola prima del precipizio.
E' facile capire quello che non siamo per gli altri.
Non quello che siamo.
Non so esistere per me.
E di mio.
Afferro il mio essere poco e male.
E gli tolgo ogni nome.
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