Strano. Tu non ricordi quello che mi dicesti. Erano semplici parole. Lettere e sensi. Le parole che mi schizzasti nella mente. Io l'ho serbato. Quel piccolo tuffo. Il leggere movimento che mi ha spinto le iridi sotto le ciglia. E giù. A picco. Dentro di me. Quel vaghissimo ed indefinito pensiero. Una nuvola fatta di parole. E nascosta dentro un fosso. Nella mia caverna. La culla dei miei dubbi. E dei desideri. Confessioni mai sussurrate. Arbusti senza confini. Rami che mi graffiano le tempie. E mi ricamano di graffi coscienza. E braccia. Mappa di un delirio mai pianto. Era quella la primavera che annusavi. E a volte mi estraggo le parole da dentro. Ci sorrido contro. Indecisa se distruggerle o nasconderle ancora. O farne pallottole. Parole. Figlie dell'inverno che ci sappiamo donare. Da ripiegare come un fazzoletto. Strano. Neanche io lo ricordo. "Scusa...ma tu chi sei?". "No. Non mi ricordo di te". A volte neanche io mi ricordo di me. E mi stupisco come tutto questo possa continuare. E nascono come papaveri a giugno piccole bugie. Magie sporche di una verità più grande. Nel grano e nel vento. E tutto si pulisce. Ma solo alla fine. Sotto strati e strati di respiri sbagliati.
Viviamo con la strana idea di saper provare tanto e troppo.
Di avere sublimi sentimenti.
Di avere parole che non riescono ad esprimere il tesoro che è sepolto in noi.
E' tutto così semplice.
Basta scavarci.
A mani nude.
Nella terra di cui siamo fatti.
Nulla di scintillante.
Solo acqua.
Non sempre pura.
Ma acqua.
E scava.
Ci dona percorsi.
E conoscenza.
Pezzi da incollare.
Fino all'oblio.
Quello che sentiamo è un morso alla tasca gigante dell'amore che tutto avvolge.
Invisibile e silenzioso.
Un minuscolo velo sterminato.
Un immenso pane.
Forse una magia.
Donami magie fatte di pane.
E sincerità.
E se non ne hai inventa una bugia che sembri vera.
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