Precipito in corridoi verticali. Avevo dimenticato le stelle. Le avevo spente. Schiacciate contro i vetri. E mi cospargevo le mani della loro cenere. Solo per lasciare la loro scia. Per disegnare nel vento. E scrivere una storia. Di polvere di stelle. Sarebbe bastato un soffio. Avevo sbriciolato il cielo. Ed i suoi ganci. Arpioni per la dignità. Il fodero della mia anima. Perderla era stato facile. Come sfilarsi la maglia. E morire di freddo. O solo indossare uno strato di gelo. Scivolo e mi ascolto. Tunnel di scontrosa assenza. Ci vediamo con gli occhi degli altri. La vocina ripete che è troppo. Tutto è davvero troppo. Nell'aria che fa da controlimite. Forse da vuoto comodo in cui adagiarsi. Ed aspettare. Se ci fosse il pieno farebbe male. E a volte cercare di non accettare è il dolore più grande. E si soffre nel tentativo di ripararsi dal dolore. Sotto l'ombrello del giudizio. Ma il mondo è pieno di frutti e di amore. Deve essere così. E' un campo che freme. Diffido di esaltazioni della gioia. Io quando la sento la raccolgo e la stringo forte. La tengo tra le mani. Come una rosa. La gioia è il fiore invisibile che dal cuore si apre nelle mani. Si schiude e il suo profumo ha mille dita. Carezze invisibili. Un ventaglio di petali e di anima. Sotto il velo del pudore. E il resto sono tentativi. Ventagli che ancheggiano. E si ritraggono. Diventeranno fiori. O solo la loro ombra.
Ho insistito.
Ho urlato tante volte il mio nome.
Non ne avevo.
Urlavo il nulla.
Rimbalzava come una pallina disperata.
Adesso ridisegno le stelle una per una.
Capelli del cielo.
C'è il mio sangue nelle mie parole.
La scia liquida della mente.
Roba da macelleria.
E il sapore dolciastro della tristezza.
Non è giusto.
Ogni volta che ci neghiamo la gioia sgozziamo un fiore.
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