quella parte di me che come burro si
struscia sul pane. E caccia dolcezza, quella dolcezza inesatta e
asciutta. Quella che non basta. Non chiede, accade. E non segna la
misura dell'esistenza, ma la traduce. Come grani di rosari da scorrere.
Quasi ruvida, come carta da pacchi e come il nastro spezzato sulla
tavola. Ricordo i nostri Natali, regali, pile di pacchi, sotto l'albero
che rischiava di cadere, ad ogni strattone, con il mio gatto che
litigava con le palle, le sue zampe contro quel lucchicio, specchi del
passato che si riflettono dentro gli occhi, e l'odore, indimenticabile,
ed indimenticato, della famiglia nell'aria, nella mente, dentro. E se
adesso rifacessi la conta mancherebbero tanti pezzi, troppi pezzi, o
forse tutti. Come se la catena avesse smesso di combaciare ed i suoi
anelli si sentissero spersi, fino a tintinnare nel vuoto. E quella
dolcezza si trasforma in tremula malinconia ed in un senso d'amore
incontenibile. E mi piace tenerlo dentro. A picco, dentro di me, terra e
viscere, come una canzone e le sue note. Vorrei sapervela descrivere.
E' quello il senso delle parti di noi, che sono oltre la carne. E' il
senso del sangue. In fondo l'amore è fatto di sangue, è sangue per caso.
E
poi l'altra di me. Quella fatta di
furia e di tempesta, contaminata da ipotesi di vita. Di veleno
strisciato sopra i muri. Le mie labbra sul vetro, per morderlo. Baciare
umido e distaccato. E le mie iridi come un campo mai arato. Ed i colori
annegati in quella stessa carne. A ridosso del sangue, controcorrente,
senza riuscire a fermarsi. I miei polsi nel vento, a lacrimare
delusione. Dopo aver osato. E quella, piccola e fragile, e un pò
bastarda, matrigna e figlia, non sa guardare il mondo. Mai fino in
fondo. Urta l'aria con le sue ciglia, con la sua voglia di imbrattarle
di peccato. Il peccato è l'illusione di una fede mai sentita, mai
provata fino in fondo. La preghiera dell'abbandono. Come se il dolore
potesse giustificare tutto. Ma poi
dove sono?
Inesatta come una somma, in cui mancano addendi.
I miei pezzi come molliche sul pavimento.
Io dove sono?
Quale di me davvero lo sa?
E quale vi scrive?
Forse nessuna.
Perchè questa vocina è tenera e contenuta testimone.
E non eccede.
Si spinge a raccontare.
Mai fino in fondo.
Dicotomica follia.
O morbida inesistenza, nel negare.
O nell'approssimato affermare.
Io esisto.
Chiaro?
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