Il mio nome sotto le dita, come sabbia che graffia appena. Forse un nastro, o una corda. E così ho smesso di imbucare lettere anonime. Senza la mia firma. E ho ripassato a mente come mi chiamassi. Quasi commuove il ripensare alle persone care mentre mi chiamavano, come lo pronunciavano; i miei nonni, mio padre, mia madre, lei sempre diversa, ora allegra ed ora brusca, ora affettuosa ed ora implacabile. Ed immancabile l'odore di caffè a fare da cornice. Casa mia, nella memoria, è sempre piena della voce di mio padre e dell'odore di caffè. Come se io fossi solo un minuscolo chicco. E se ci ripenso, le mie amiche, e le risate, e le telefonate. "Signora c'è....?". "Può avvisare.....?". A volte ci chiamavamo dal balcone, per la gioia del vicinato. Soprattutto d'estate, quando il confine tra la casa e la strada diventiva sottile, nella guerra tra tende e zanzare. In genere gli uomini della mia vita, quelli del mio cuore intendo, mi hanno chiamata poco. Qualche vezzeggiativo, o forse più diminutivo che altro, e poche volte ho udito la loro voce nelle mie orecchie a scandirmi il nome. Era un modo per dimenticare di esistere. Ed esistere appena appena. Il mio primo fidanzato mi telefonava a casa, con la scusa dei compiti, e si invitava a fare merenda a casa della mia migliore amica. Era diventato di casa, parlava di politica con il padre e si faceva fare il caffè dalla madre. E mi giurava amore eterno. Io ho sempre saputo che non sarebbe durato neanche di lì al mese dopo, ma era così bello, e così candidamente folle, da togliere il fiato, quando mi baciava nell'aula da disegno, o nella sala di scienza. Ci separammo in modo indolore. Lui partì per il militare, perchè alla fine non poteva più rimandare. E mi telefonò una volta, chiamandomi per nome. Strano, non lo riconobbi e non riconobbi neanche il nome mio. Avrei voluto rispondergli che non c'ero. E che era tutto diverso. Lo rividi perchè era impossibile resistergli, ed in una notte d'estate mi promise che mi avrebbe pensata ogni volta che avrebbe visto la luna. Se ci ripenso, c'era già in me un frammento famelico di disincanto. Io gli infilai la lingua in bocca e gli risi tra i denti. E lui mi rise stretto stretto addosso, e con noi la luna.
Abbiamo bisogno di magia.
Di crederci.
Anche quando non ci crediamo.
Dimenticavo, mi chiamo......
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