Post n°24 pubblicato il 24 Febbraio 2014 da dialogoimperfetto
Mi piace lasciare andare le parole. Senza trattenerle più. Non più di tanto. E sentirne appena la esistenza, la dimensione rarefatta, accorgermene, assaporarne la appartenenza, fino a saperne gioire, per poco, un tantino, l'attimo di un sospiro, quel tanto da invertirlo, come se fosse un pizzico, lieve e desiderato. In fondo quando ti concentri troppo sulle parole è solo perchè non sono pensieri, ed il contenuto non ha una rilevanza ed un peso tale da poterli rendere fili sottili, quelli che uniscono e svaniscono, più leggeri di farfalle, della loro scia, del sogno che sanno disegnare. E senza bilanciare, senza valutare, senza limitare, esistere come scorrere e sentire che la volontà ed il desiderio, o meglio la capacità di desiderare, si sfiorano e pericolosamente si intrecciano. Parole come petali di aria, in una strana poesia che colpisce come un buffetto, forse vento, per lisciare, curvare, appena accennare un movimento. E ripartire immemore. Senza direzione e senza un verso preciso.
E poi ho paura che questo smetta.
O solo che abbia ad iniziare.
E non sopporto, non più, quella solennità di chi finge di nascondersi, perchè il pudore ed il rispetto scorrono come l'acqua.
Quella stessa che non sa ripercorrersi a ritroso.
E non torna mai indietro.
E adesso vorrei urlarti addosso le cose peggiori, le più moleste, le più crudeli.
E so che sarebbe inutile.
Eppure ho un bisogno disperato di inutilità.
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