martedì 25 agosto 2015

 

     

A volte accadeva, quasi per caso, che il desiderio le partisse dai polsi, e facesse dei giri impensabili, come un dardo senza direzione. E che i polsi dal desiderio fossero serrati, ma con dolcezza. Allora sentiva quella  emozione, o forse era solo una sensazione beffarda, al confine tra il piacere ed il dolore. In quel solco in cui alcune donne incastravano l'errore e non sapevano farne a meno. Aveva provato a spiegare, ma era più facile fermarsi alla apparenza, alla sensazione di curiosità o di sdegno, osservare sulla soglia la sua mente che ancheggiava, piuttosto che fermarla, accarezzarle la mente, con decisione, e farla sentire assolta, abbracciata, forse compresa, o solo vicina. Sara aveva sogni strani, secreti dalla sua mente, come se fossero rivoli di piacere, pronti a solcare sponde ignote. E non si negava, offrendo pezzi di sè, come capitava. Le sue mani bianche, le sue iridi feroci, le sue labbra livide, le sue caviglie ferite, e si spalancava, sogno dopo sogno, solo per ricercare ancora il frammento di quel dolore, che le faceva una immensa compagnia, e per avvolgersi nell'alone del giudizio, sino a farsi disprezzare. Perchè avvicinarsi al male le era sempre piaciuto, per guardarlo da vicino, per osservarne le movenze, perchè desiderava la redenzione di quella carne che si impregnava di brividi ed a cui aveva sempre negato amore, un amore vero. Poi era accaduto, aveva ripiegato il cuore e aveva lasciato le mani nel vento, e così aveva provato sollievo. E non sapeva spiegare, solo che quella sensazione tornava, ad ogni tocco, quando si schiudeva come un fiore, per implorare un nuovo morso, più forte del precedente, per nasconderne a sè stessa i segni, e sentirsi almeno per un istante intonsa, di nuovo, come se non fosse mai esistita.
Eppure basterebbe così poco.
Ma il piacere lo esige il cuore, non la carne.

 
                 
 
 

     

Donna, fatta di acqua, che acqua diventa ed acqua rimane, e pura si perde verso il cielo, per riprecipitare, preghiera, dopo preghiera, fatta di nuvole. Acqua che scorre, senza forma, e con mille e più forme,  e mai sa smettere, che poi si infila tra meandri sconosciuti. Goccia dopo goccia, ora lontana dalla luce, per scivolare, oltre ogni segreto, ora incontro alla luce, affamata di sole buono e sincero, con le braccia calde e goffe della comprensione e della tenerezza, in cui perdersi significa esistere. E sa corrompere la materia, penetrarla, segnarla, non per lasciare il suo segno, ma perchè ha bisogno di osare, di segnare il percorso, una via di fuga. Nella mia mente, non serve affacciarsi, ma precipitare, oltre ogni pioggia e deserto, senza funghi per cappelli, senza scarpe, una musica fatta di fiori, del loro odore selvaggio, provvida, più di una primavera, di attesa della inclemente estate. E là incontrare i miei sogni, ed i miei orrori, la rete dell'errore, del sentirsi sporca, pur non sapendo di essere acqua. Per salvarsi, senza essere mai stata condannata.
All'improvviso le rose sono fiorite. E non ne vedo i colori, le corolle e le spine. Ma solo il loro odore che si stempera nell'aria.

 
 
 
 

     

Incompiuta, lo confesso. Come una melodia interrotta. Ed anche instabile e animata da una voglia di chiarezza che alla fine confonde tutto. Come se le parole non fossero altro che lettere. Ossimoro tra carne e anima, mai in pace tra di loro. Con i confini nel nodo del peccato.  Disegno la mia mente con un tormento indifendibile che a volte è un distillato di cielo, altre di terra.  Pece che nasconde e affoga. Detesto non essere compresa, in quegli istanti cancellerei il mondo, con un "delete". Ma poi ci ripenso e spesso la mia solitudine è nel non saper aspettare, ma da qualche parte ho imparato che il tempo tra te e gli altri fa troppo male, come se fosse una tasca in cui accumulare indifferenza e distanza. Meglio distruggere tutto, pur di attenuare il dolore, almeno un poco, perchè altrimenti fa una gran compagnia.
Ma oggi c'è il sole, e ho voglia di mare.
Ci penseremo domani.

 

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