Non conosco altro modo di conoscere gli altri, che essere me stessa, e non parlo di sincerità - quello è l'incanto che avviene talvolta, di rado, forse una volta sola o mai - ma del bisogno di sentire gli altri, di annusarmi addosso le impronte e restituirle, a modo mio, spesso sbagliato, ma sforzandomi di essere autentica. Parlo di quel limite prima del contatto. Ho smesso di cercare artifici nella comunicazione e quelli degli altri li riconosco subito, sono gli stessi che spesso ho praticato sulla mia anima e sulla mia mente, troppe volte e si slabbrano in strategie di difese, di manifestarci più o meno forti, tristi, felici, annegandoci in un mare di percezioni di facciata. Poi ho compreso, o forse ho intuito, e deciso che ogni percorso di conoscenza è un modo per percorrersi ancora, per continuare a capirsi senza capirsi, perchè siamo alberi con una sfacciata ed immensa voglia di sentirci i rami nel vento, di sentirci esplodere le foglie addosso, di resistere al gelo, in attesa di altre primavere. Alberi inversi, senza terra, con una maledettissima voglia di penetrare il cielo. Siamo oltre ogni apparenza più scintillante, anche se tenta di oscurarci. A volte penso che nulla ci lascia più nella luce del buio. Siamo oltre ogni parola, plausibile spiegazione, oltre ogni ragione tolta e negata, oltre ogni equivoco, siamo quello che sentiamo, e che non smette di urlarci dentro, contro ogni silenzio. E mi perdo nell'incomprensibile, perchè so che avvicinandomi non lo afferrerò.
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