E io ne sentivo i morsi.
Ancora li sento.
La mia diversità è solo un riflesso di tutta la paura che provo.
Del non sapere più dare.
Non ero come le altre.
Quanto avrei voluto.
Ero ridicola e sporca, vestita di illusioni.
Tutti parlano di colori, di vita, di primavera, di vecchi e di nuovi amori, che poi è lo stesso. E io resto immobile, come un mostro, con poco sangue nelle vene, spesso sbagliato, a caccia di un poco di calore che illumini i brandelli della mia anima. Come se fossi una virgola travolta da un fiume di parole. Voglio silenzio e cose vere. Nulla è più vero del silenzio. Perché quello profondo ed intimo buca l’orrore del vuoto. Il resto del mondo lo sento fuori dalla mia bolla. E afferro i miei sogni come una lama tagliente e li strofino sulle vene, sui polsi, fino a tremare. Questa solitudine fa male, ma è indispensabile. Poi morirò e nascerò ancora. Spero migliore. O solo nuova. Perché non so smettere di piovere, di vivere, di sognare, di desiderare, con tutta me stessa. Come una donna sa. Eppure vorrei, schiacciare questi stupidi battiti, uno per uno. E farne una collana da deporre ai piedi della luna.
Ma adesso è tardi.
Ci penserò domani.
Spesso il silenzio ci fa compagnia con i colori della malinconia..
RispondiEliminaM.