Il cappello dell'assurdo è cosparso di gelsomini. E di notte sanguinano. Un punto, due. Ed il loro cuore mi trema in mano, prima dell'alba. Adesso vorrei dirtelo, perché non mi senti. E perché so che dire la verità mi priva di ogni fascino. Essere sincera spoglia nel modo peggiore possibile. Ma non pensare che il mio rammarico sia un tuo merito. Perché esso, sin da ora, è il mio trofeo. Di giorni madidi di silenzio e spenti, vinti all'abitudine. Con poco sangue e grandi respiri. E poi ho capito che quando dai tanto, gli altri vedono solo il peggio di te, perché capita che nel donarsi, con tanta foga, troppa - alcuni la chiamano voglia di amare, altri bisogno- il brutto sporca, ingolfa, spezza, inevitabilmente. Oscura e riempie di distanza. E quella aurora mangia al cielo luce e lo screzia di un arancio beffardo. Non voglio che tu capisca, neanche che tu legga, neppure che tu sappia. Io sono livida di segreti. E mi abbraccio, come un bocciolo inverso, che non sa più esplodere. Domani, sarò ancora donna. E mi dipingerò la bocca di fragola.
Adesso sono una mollica in attesa del morso.
Non voglio essere diversa.
Non voglio essere altro da me.
Non voglio nuovi occhi.
Solo un sguardo pieno che mi contenga.
E poi sognare.
Ogni volta il terrore dell'abbandono.
"Ma nessuno ti sta abbandonando, nessuno può.
Sei tu che non sai più tornare da te stessa".
Rimbomba, per la forza dell'urto.
Incastrato fino all'ultima vertebra.
Come quel pensiero che maledici.
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