lunedì 18 gennaio 2010
L'orizzonte si spezzetta in segmenti. Si ripiegano e si sovrappongono. Dissonanti. Sospiro su sospiro. Dal lieve stridore. Si percepisce appena. Ha un battito morbido e sembra un ventaglio. E si flette. Come una gerbera pendula. La bestia avanza. Con lo stelo tra i denti. Lieve è la danza dei petali confusi. A caccia di luce. Con i denti che affondano. E il movimento è il canto del divenire. Un Tanto tempo fa mi cola dalle labbra. Sono indecisa se sia un ricordo. O una fiaba. O un sogno accartocciato. E la vita si ripiega su di sè. Mi fa ancora battere il cuore di dolore. Un dolore vero. Pieno di dignità. Senza immaginazione. E rapido scivola tra le mie carni. Forse per ricordarmi che sono donna. In un mondo che ha fame di sangue. Da esibire solo se necessario. Dal colore indefinito. Quello che ognuno vede a modo suo. E colora di significato. E tutto sembra poco. Perchè è lontano. E senza voce. Come se la pelle fosse fatta di aria. L'orizzonte ancora non annega. Non affonda. E precipita in tentativi. Mentre affondo nella polpa di una disperazione inerme. E nella sua ombra spalmata sul muro. Un sole muto. E l'ombra diventa la casa della luce. Il suo rifugio segreto. L'orizzonte è una lama affilata. Avanza. E decapita l'attimo. Sto scomparendo. Dovrei strappare le orme di tutta questa ingiustizia dal suolo. Ma ci ha pensato l'oblio. Devo annotarlo sulla mia anima. E mi perdo in pensieri inutili. Come una vita serena. Nella ingiustizia più lurida. Mentre il dolore ha morso vite e vite. E questa rabbia bastarda non cambia le cose. Vita che convive con la morte. Spaventosamente. Si chiama impotenza questo serpente nella pancia. E' là che si impicca la nostra dignità. Nessuno sa nulla della vita dei senza voce. E la terra grida e sputa sangue. Come se essere uomini non bastasse. Mentre è più che mai un dovere.
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