Così uno sull'altro in una pila traballante i pensieri oscillano. Quasi a grattare il cielo. Non conto più le stelle. Perchè la conta mi rattrista e mi stempera la solitudine. Piccoli tentativi di allontanare quella idea. E io e te contro il muro dentro i rumori della strada. E il caldo che si mescolava al tuo respiro ed alla mia saliva. Sembra che tutto questo non l'abbia vissuto mai. O riemerga da una delle immense e malinconiche fotografie che la mente sa secernere. Tutto bellissimo perchè impreciso ed indefinito. E poi i passi nelle scale a soffocare il mio orgasmo nella tua bocca, masticato dai tuoi denti. "Non chiamarmi". Non mi sorprese sentirmi femmina rossa. Una volta mi hai detto che nulla mi stupiva per davvero. E mentre io ancora ci pensavo, aggiungesti che ero dannatamente perversa. E io mi mescolavo quella parola nella mente, scandendola e cercando una scintilla di verità nei tuoi occhi. Tra le preghiere e i salmi che ormai avevo dimenticato. E non ritrovavo quei battiti di cui ero capace. E non smettevo. Quasi me ne convinsi, di quella perversione indotta, che non sentivo mia. Perchè mancava la innocenza che non ritrovavo, come un imprinting, e che mi impediva di tremarti tra le braccia, persa nel desiderio, unico, di affondarti le unghie nella carne.
E allora capii, come per incanto, che io cercavo il dolore, come se fosse il solo modo per non essere dimenticata.
E mi voltai, esattamente là.
Ad un passo dall'oblio.
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