Pensava che nel parlare di lei, della sua intimità, delle sue stanze, ci fosse un prezzo troppo alto da pagare. Le era sempre importato più della sostanza che della forma e mentre sentiva di aver superato la linea del candore non contava molto, e non più, il divario tra la carne ed il cuore. Solo l'amore poteva ridare la dignità al suo peccato, asciugarne la scia umida e lasciala andare avanti. E incastrava chiavi in serrature sbagliate, perchè cercava la parola giusta. E sentiva tutto lo stridore e l'indolenza di quegli incastri sbagliati, mentre le bruciavano le vene. E tutto questo si traduceva in una svogliatezza. Aveva confuso apposta le chiavi. Per non aprire mai, per davvero, nessuna porta. E restare a spiarne ciascuna. Potevano possederla ma mai averla per davvero. Restava sempre un bordo impenetrabile. Ma a chi importa arrivare ai confini di noi? E noi lo vogliamo per davvero?
Nella rarità di una porta che si spalanca deve dosarsi il buio e la luce.
E non dare per scontata mai nessuna ombra.
Sento un errore non mio che mi riempie.
La corda mi graffia i polsi e mi solca la carne, sempre più a fondo.
Non sono in questa pelle, ma dentro la mia anima.
E mi scompongo nei dettagli.
Uno di questi è il mio respiro.
Forse il primo.
E non si avvicendano con ordine.
Ho sempre bisogno di una dimensione mistica per ogni indecenza.
E me ne accorgo mentro mi rivesto.
Perchè non raccolgo più, non più, le parole tra le lenzuola.
Sono il passato.
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