E per gioco iniziai a vivere e ad inanellare identità, come ciliege da sputare, l'una dopo l'altra, stella da amputare per rivestirmi con i loro brandelli. Uno o più pensieri e tra di loro desiderio.
"Ti sto guardando" - mi sorprese la tua voce mentre mi disegnavi la perdizione sulla nuca e mi lasciavi scivolare i denti tra le vertebre.
Sentivo la cera calda e la mescolavo ai brividi ed al dolore, prima che diventasse godimento. E' così incredibilmente labile il confine. Ci penso spesso quando mi fai del male.
"Non voglio che tu goda".
E mi riempii di gaudio, trattenendo il piacere tra le cosce e prima ancora nella mente.
Ero linea che si estendeva e non smetteva di correre.
Come se inseguirsi fosse la via di fuga più candida che potessi immaginare.
Ed era la più sporca.
Per quello mi piaceva.
"Adesso puoi, vieni".
E io ti sorrisi e mi sorrisi.
E ti guardai.
Mi piaceva l'idea di farti sentire che mi dominavi, mentre sapevo di avere la tua mente in pugno. Esattamente incastrata là. Tra le mie gambe.
E non smisi di guardarti, mentre mi rivestivo.
Senza voltarmi.
Non più.
Questa è la parte di me che io mi nego, che meno espongo e non confido. Quando lo faccio sento gli schizzi del giudizio, della facciata bianca di case luride. E non te lo dico. Non mi mostro. Nascondo. Ma sai che c'è. E tu sei esattamente come me. Ma non vuoi sentirtelo dire. Posso sussurrartela se vuoi, mentre mi penetri e varchi la mia voglia.
Senza regole.
Solo quando voglio io.
E sento che quel momento arriva.
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