Si perde come lo zucchero nel caffè. Un nuovo libro
sul comodino, si aggiunge agli altri. Una pila disordinata; difatti in uno dei
libri si parla di “space clearing“, anche se io lo definirei “seidavverounagrancasinoenonsaimaidadoveiniziarelecosefiguratiquandofinerle“.
Prossima tappa: riuscire a volermi più bene; giusto un pochino di più. Perché
la notte porta consiglio, anzi no, non lo porta la notte, viene e basta, perché
io stanotte ho dormito come un ghiro. A volte quasi ci si disabitua al bene
verso se stessi. E poi ho voglia di una bella passeggiata, a dispetto di tutto
e tutti. Passi decisi, nell’aria sempre pregna di salsedine della mia terra.
L’aria è fredda ma pulita. Non punge. Oggi ci sono assenze che fanno
particolarmente male, perché sono vere mancanze, pezzi che sono andati via;
come se fosse andato via un braccio, un occhio, uno spigolo di cuore. E in
quella mancanza cerchi la energia buona quando non sai proprio da dove
ripartire e senti gli altri, con il brutto vizio di non saperli ascoltare.
Spesso mi dico che piangere pulisce gli occhi, ma anche il cuore e l’anima si
danno una brusca risvegliata; una strizzata alla vita da stendere al primo
sole, mentre ancora gronda quella maledetta sensazione di errore, radicata alle
vene, alle viscere, alla bocca dello stomaco. E questa è stata una settimana
strana, come la mia inquietudine, che a volte è tormento, altre una bastarda
voglia di solitudine, di una solitudine vera, che non è debolezza ma forza.
Quasi di tornare dentro di me, dove nulla fa male, perché nulla ci arriva. Non
ho paura delle cose e della loro fine, perché neanche mi pongo il problema se
ci siano, se siano mai esistite. Mi limito a vivere, come viene e come capita;
anzi meglio che posso. Ed il mio cruccio è lasciare agli altri un pezzetto di
me a forma di sbaglio, perché non vorrei mai. Siamo mani che si sfiorano;
alcune quasi si toccano ed accarezzano la solitudine che ci disegna e ci
staglia su orizzonti distinti, come vele del divenire. Mi dispiace degli errori
che facciamo, del dolore che incautamente causiamo. Perché la essenza di noi
stessi risiede in un grumo di polvere e caso, come una virgola sbagliata di
sangue nel fango.
“Space clearing”.
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