sabato 18 maggio 2019

Seguì la linea dei suoi brividi, con un dito, quasi a cercare la risposta di una domanda monca, sussurrata e mozzata, mentre ancora tremava, con il sangue caldo. Era una donna semplice, e avrebbe voluto che qualcuno lo capissi. Ed inciampava spesso nei sogni, come se sottendessero il suo cammini, più curvi di un arco e gravidi di speranza. Sentiva le lacrime scendere ribelli, come piccoli fiumi, di una deriva segreta e cercava di asciugarle, ma poi si fermò le lascio che rigassero il viso, fino a prosciugarle il tormento dei suoi occhi, piccoli laghi di inquietudine. Nelle parole tutto perdeva di senso. E lei ricamava il silenzio sui polsi per annullare e ricacciarvi sotto i  desideri ed i fantasmi che impavidi spingevano, appena sotto la pelle, a confine con il suo sangue.
Era disperatamente sua.
Aveva inseguito un palloncino, fino a fargli sfiorare le nuvole, per perdersi in un orgasmo indaco.
Sentiva la sua carne ancora avida, e gli raccontò una favola nuova, forse finta.
Ormai era mezzanotte. 

mercoledì 1 maggio 2019

Soffi

Ho riletto i tuoi messaggi, e come buchi, vuoti di lucida follia, mi è pulsata tra le vene, sino al cervello, la pallida fiducia che mi riempiva di speranza di un attimo diverso. E quel frammento è davvero stato? O era l'ombra di una fame selvaggia che adesso squarcia il ventre che continua a gemere e si ritrae. Senza pudore, ho lasciato il mio cuore nel vento. E come allora sento una disperata luna che mi trema dentro e non si ferma. Il tempo è finito e quel che è stato non ha senso. E non mi chiedo se verità ci sia stata nei tuoi baci o solo una scintilla che ora è cenere. Non lo chiedo. Non sento il sangue, non sento il cuore, non sento il fiato. E non esistere sarebbe un dono pazzesco. Come un salto nel vuoto.
Pugno di stelle...
Ascoltavo il vento e mi vestivo di rimpianto. Era ieri. O forse un attimo fa. Nel rosario del tempo, che snocciola grano per grano il divenire. Adesso resto asciutta nel mondo. E ascolto quella voce che mi modella e mi contorce. Fino allo spasmo. Non tremo ma mordo aria. E mescolo morsi e sorsi con la voglia di nuovo e meraviglia. Tutto immobile, dentro, e gli strati a fondo. Giace il resto di me, la donna che fu. Io sono solo diversamente nuova e attendo che una nuova primavera si dischiuda sui polsi. 
A volte mi ritrovo immersa in una solitudine diversa. La diversità mi ha sempre stupita ed incatenata. Come nel mare, quando tutto abbraccia. Senti la luce sulla schiena e mentre riaffiori scintilla e si infila tra le onde, sulla fronte, sulle gote, sulle labbra, con una ignara promessa di precarietà. Sogni di sabbia che graffiano mentre scompaiono e si dissolvono al primo tiepido e fervente buio. Ti insegnano che devi diffidare degli sconosciuti, ma vuoi mettere il brivido di infilarti nell’ignoto?  Pensavo che le assenze rimbombano forte quando è tutto vuoto, e circolano, come figlie del vento e scie lungimiranti del suo soffio, in cerchi selvaggi. Fagocita il mio dolore stupido ogni traccia di sorriso, e io non lo voglio, non lo voglio più,  e come goccia di mora impudica ed invereconda scivola distratta dalle labbra e io non esisto, oltre quella riga. Eppure ti spiegherei se fosse utile. Ma forse non ci sei più vento caro e sei già andato oltre, e il bordo segna la distanza, quando è intollerabile. Ed è diversa questa solitudine pregna nel ventre fecondo di una luna, mentre mi raggiungo e poi precipito. I grilli si mescolano al mio fiato e nelle pagine nuove da scrivere io scivolo silenziosa. Leviga il tocco la carta e mi seduce.
Quando taccio, sono pericolosa.
Perché il silenzio rende tutto meravigliosamente possibile.
E come una virgola indecente, segno senza spezzare.
Forse il pane di mille lune segrete.
Non fermarmi.
Alcuni pezzi di passato non mi spaventano da quando ti ho infilato nella memoria del cuore.
Alcuni posti mi parleranno sempre di te, anche se in sordina, con toni sempre più sfumati.
Ma mai esserne sicuri.
Perché prima o poi il cuore esige la sua parte indietro.
Lo lego al dito, come una promessa. In un punto fermo, inutile ma essenziale, sento il mio fiato e la inutilità di quelle lacrime che rigano, senza freno, il volto di una donna, come perle di una collana impazzita. Ci sono ricordi che sono più forti delle sensazioni, e che vanno oltre la mente. Ricordi che si sono impossessati della carne, e senti l’assenza di quegli istanti e la impossibilità di nuovi. Di segni sulla pelle, come passi di un sentiero, tra le vene. No, non è un segreto perché con tutta te stessa lo vorresti urlare, con il dolore che senti e che vorresti solo che fosse compreso. Non sono solo indecenza, ma sono anche anima, perché per essere indecenti ci vuole anima. Serve la voglia, la abitudine, il bisogno, caldo e sincero, di donarsi. Di andare oltre, di lasciarsi precipitare, a fondo. Poi resta un senso di inadeguatezza che urta e graffia contro pareti di solitudine.
Non vedo le stelle stanotte. Solo un mozzico di luna, umida, troppo, come quando non smette di pioverti il cuore addosso.
Tra le fessure la vita e non la spio. Il sangue pulsa nelle vene, sino a scivolare in tristezza. Un sospiro e poi ancora parole e la voglia, ed il bisogno, di passi, nuovi e solitari, tra la voce del vento e dei campi, puri e selvaggi, lontani dalla indifferenza; poiché dove c’è il sole, e dove la luce non morde ma accarezza, c’è proprio una verità muta e dignitosa. Negli occhi paura ed oblio, e promesse smanghiucchiate, da speranze pallide, quasi livide. Un respiro e poi ancora.
E poi e poi e poi.
Il mio nome?
Aria.
Il pensare e ripensare è così sopravvalutato, eppure bisognerebbe immergersi nella più pura astrazione.
Ad un tratto sento un pezzo in meno, un frammento, lontano e sperso.
Eppure ho ancora voglia di guardare le stelle, ed inzupparmici i sogni.
Aria, ancora e sempre io.
Gipsy
Quanto lontano ti spingeresti?
Scivola oltre il confine della indifferenza, in pallido declivio, e trema, trema dentro l’anima, sorda e triste. Una scia, una lama, l’ombra della luna, che si smezza come una lenta goccia che si adagia e sdraiandosi disegna nuove inquietudini. Una macchia nella neve, un puntino che si contrae e sporca e si dilata e si piega. Come tra nuvole o solo solitudine. Oltre ogni mistero c’è una essenza pronta ad essere dilaniata, ma non chiamatela sincerità; è lurido e selvaggio egoismo. Nella bocca di una curiosa belva che mi annusa, i fianchi, le labbra, oltre il cuore. Quanto lontano ti spingeresti? E un muro mi separa e mi nasconde, perché sia facile continuare morbidamente a non esistere. A perdifiato, giù per le scale, sino all’erba fredda della notte.In quel casolare, lontano, i sogni. Tu non conosci i miei segreti. Eppure vorrei mi stupissi. Ma non toccarmi. E non credere a tutto quello che senti. A quello che ti dico. Non puoi mentirmi, perché sono completamente trasparente. E rifletto te.  Quando saprò la verità?
Vorresti che la gente ti guardasse per trovare dentro di te la sua parte persa.
Dimenticata.
E ritrovarsi negli altri.
E la tua dove è?
Cercare di dimenticare qualcuno è il modo migliore per non smettere di pensarci.
L’impercettibile attimo, quello della trasgressione. Succede in un baleno. Un soffio. Un respiro. Un fiato inverso, rosso. Sul filo del rasoio. Il sangue nella mente. Oltre le ciglia. Le labbra tra le nuvole.
E poi parole fatte di carne.
E di pelle.
La più sincera che ci sia.
Al confine con l’ombra nuda delle stelle.
Oggi sono io
Questo sarebbe un altrove degno di rispetto.
Non so come funzioni e neanche come io debba fare. Sono una naufraga. Con le labbra unte di solitudine. Sono viva e me lo dice il mio polso. E scrivo come se tutto finisse in una bottiglia. Non voglio che nessuno legga ma che qualcuno devasti quella maledettissima bottiglia. E scrivere ancora con il sangue. Dimenticandone il colore. Ho la mente rossa. Potete capire che succede ad una donna quando sente un livido sul cuore? Cerca la ferita ma non ne trova il punto. Sente solo dolore. Dolore nei ricordi, annacquati dalla paura, dolore sulle labbra dei baci perduti e rubati, dolore per il pudore negato alla sua pelle. Forse prova questo. Ma anche altro. Ebbene, sì. Questo mi sembra un altrove davvero degno di rispetto.
Sai è adesso proprio quell’attimo esatto in cui mi sono persa e ritorno, come da un tuffo tra le nuvole. Adesso sento il sangue e mi attraverso, ed è così che la solitudine non fa paura, su una mappa di baci e di pensieri indecenti e scalzi. Parole, dopo parole, e poi le tue dita nella bocca a rubarmi fiato e scostumata innocenza. Il tuo odore nella mente e non esisto. Oltre questo attimo. Non rubo, non chiedo, ma mi infilzo vita nell’animo, nella carne e nella mente. Come se una finestra si protendesse su un orizzonte segreto. Sì, mordo stelle. 

iato

La mia indecenza non ti seduce più.Eppure era adesso il tempo in cui ti lasciavo entrare fino a tremarti addosso, oltre ogni limite. Non esisto, come una foglia che il vento ha smangiato e resta solo bordi, contro un grande vuoto. Non mi vorrai più e questo pensiero mi lega i polsi. E mi inchioda contro un muro sconosciuto e scostante. A respirare distanza e desiderio. Fino ad imbrattarlo con il mio umore. Ed il mio orgasmo che urla voglia che ho di te.
La mia indecenza non ti seduce più. E non è più quel tempo. E io non ho più memoria eppure non riesco a dimenticarti.