sabato 13 febbraio 2010

E così. Accovacciata. Setaccio il calore. Come oro rosso. E mi avvolgo. Nell'equilibrio. Mi riscaldo del mio gelido fiato. Come se sputassi neve. Un albero rosso mi volta le spalle. Senza radici. Si nasconde nel buio. Ne sento ancora gli spasmi. Il ricucirsi le foglie addosso. Dopo aver slinguato tenera rugiada. La scia degli amanti. Della loro notte segreta. Dei loro orgasmi che hanno separato i loro corpi ed evaporano al primo sole. E mi respiro contro. E il mio letto è il bosco della mia notte impiccata. La selva della indifferenza. Dove posso immaginare gli odori che mi rassicurano. Mi intreccio al volo di una farfalla. Al suo gioco ad alternarsi tra l'aria e la luce. Come se fossero colonne da schivare. Ho cercato di descriverla. Ma nessuno la vede. E lei continua a svolazzare. Nessuno mi crede. E le storie che mi racconta le tengo per me. E mi lego al senso più vago della dolcezza. Quello sfuggente e leggero. Quasi una carezza. Quasi uno schiaffo. Per resistere devo recidere tutto. Devo rimuovere. E vangarmi l'anima. Ed il senso di distanza che credevo fosse un muro d'edera è la coperta sincera che mi sta abbracciando. Dove il mio alito si scioglie in un prato e va incontro alla mia amica segreta. E alle sue ali. Solo per poterle guardare mentre fendono l'aria.
E crediamo di non meritare o di meritare troppo.
E non conosciamo la misura.
Oltre, niente è più come prima.
La mente ha una temperatura diversa dal corpo.
La mia è affetta da una strana febbre rossa.

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