martedì 25 marzo 2014

Pulsa il tempo, pulsa come nubi dentro il cielo, sopra le mie tempie e miete aria e dolore, forse presagio o facile distrazione. Quale stupore nello schiudersi della notte su di noi, erranbonda e con i palmi rivolti al cielo, a supplicare lacrime di stelle. Sangue di sorella, io ti ho sentito e ti ho interrogato, fino a sentire l'errore nelle mie vene, e la nenia ossessiva del mio essere sbagliata, del non sapere essere importante, del non contare. In quella solidarietà che spesso è solo parola, io ti afferro e non ti lascio, e ti conservo e ti trattengo e ti soffio, nell'eco di un'appartenenza che ci scavalca e ci sovrasta, come se avessi inciso il tuo nome vicino vicino al mio, in quale faglia, laggiù nel profondo, dove io non ricordo di essere mai scesa. Mi sfaldo, come margherita, tra petali di aria, perchè chi tace percepisce tutto il mio tormento, quello che all'improvviso mi divora e mi stordisce. Mi piace attraversare la scia della logica e ritrovarmi dal lato opposto, sempre quello sbagliato, o solo non quello giusto. Sono inesatta come una somma a cui mancano i pezzi precisi, avvolti dentro battiti che si sono rincorsi, quasi come parole su un foglio e che ti lasciano, esattamente là.
Nel suo centro.
Fragile e sola.
O no.
E la voce nella testa.
Quella voce.
Chiamala desiderio.

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