venerdì 18 marzo 2016

Ora ci provo a spiegartelo. Immagina i miei occhi che ti stanno fissando. E le mie labbra che senza voce ti stanno parlando. Si muovono senza tempo e non smettono di guardarti il viso, la bocca fatta di corallo, gli occhi come due lame profonde, le ciglia fitte. Gli occhi ti guardano ancora e seguono il contorno delle tue labbra, come se ti stessero baciando. A volte succede, si chiede alla vita di prestargli degli angoli speciali ed accade. Si incastrano degli istanti a vite che non gli appartengono, o che forse gli appartengono in modo unico, raro, diverso. Ed in quella diversità c’è qualcosa che vita non è ma che ne ha una immensa dignità. Una profondità tra gole di anima e di sangue. E così ho pensato di dirtelo, volevo dirtelo, devi saperlo. Quando succede, quando una donna si raggiunge fino in fondo a se stessa, si sente una stella, fatta di una luce inspiegabile, morbida, che smette ti roteare e si contempla. Come se la sua anima, la sua carne, il suo sangue  di stella, si fossero toccati. Ed è un viaggio che lascia sospesi. E senti le mani dell’altro che ti lasciano andare, senza timore, solo perché in quell’istante si è smesso di avere paura. Ti è esplosa una strana e feroce tenerezza. E poi una assenza, un vuoto fecondo ed immemore. La tua pelle, l’attimo dopo, è un campo di papaveri, una distesa di girasoli, una tempesta di farfalle. E i tuoi brividi, come in un cerchio, ma magico per davvero, chiedono e richiedono l’altra pelle, per lisciarsi, per mescolarsi. Per avere meno freddo, prima che il viaggio finisca ancora. Senza sapere che riprenderà. Ma con la consapevolezza della immensa bellezza del respiro di quella sosta. Come viandanti che per caso raccolgono una rosa.
Se chiudi gli occhi i miei brividi sono ancora sulla tua pelle.
Te li ho donati.
Ma donare non richiede tutto
il coraggio
che richiede il
ricevere.

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