mercoledì 26 gennaio 2011

Vorrei sapere e avere le parole giuste. Forse per spezzare l'oscillante mimetismo dei concetti. Perchè la fame la indichi meglio con il pane. E pensando al morso. Al pieno. Più che al vuoto. Senza pensare al deserto del cuore. Vorrei saper scambiare cose. Quelle che chiamiamo sensazioni. Intinte nella realtà, ma così lontane. Forse nascoste sotto la pelle. La rete del delirio. Dove c'è tutta la fragilità di cui siamo capaci. Sotto. Nel groviglio di sangue e carne in cui qualcuno ha iniziato a modellarci. E poi ci ha lasciati a metà dell'opera. A volte lo dimentichiamo e lo scambiamo per immortale divinità. Mentre siamo piccoli frammenti di dei solo con l'anima. E' quella l'unica dannazione che ci è concessa. Perchè le parole sono ponti. Sono ami. Sono uncini. Se tiri troppo forte strappano e ti lasciano sanguinare. E allora sanno diventare fili. Capaci di far avvicinare senza unire i due lembi di una ferita. Come se fossero un'unica pelle.
A volte basta pensare al buio per iniziare a cambiare.
Il vuoto di luce dove riuscire a sentire tutti i cuori che abbiamo.
Anche quello nero come la pece.
Ed i suoi schizzi.
Al buio possiamo tracciare linee con le stelle.
E disegnarci ogni domanda.
Come se fosse una speranza.
O un coltello senza lama.

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