martedì 12 febbraio 2019


O su tacchi oscillanti, la vita procede e non le importa del flusso indaco dei tuoi pensieri, piccola Sara. Non parlo quasi mai di te. Perché ho voglia di proteggerti, da tutto quello che le altre parti di me potrebbero farti. E forse ti hanno fatto, nella incoscienza più o meno effimera. Ti accarezzo e ti cullo, ogni notte e ti abbraccio ogni mattina, per riuscire a lasciarti nel tuo angolo, mentre vado via. Quasi nessuno ti conosce, forse neanche gli importa. E io ti nascondo dietro al cuore, anzi no, tu sei il pezzo più segreto del mio cuore. E non serve descriverti, o farne la peggiore profferta, perché non esisti, se non nei miei meandri più oscuri. Sono quelli in cui i colori prendono forma e smettono di essere segreti e sono sogni. Quelli più intimi e dolci, fatti dei sorrisi dell’infanzia e del profumo di mia nonna, mentre le spazzolavo i capelli, e lei mi raccontava di un mondo solo nostro. Mi parlava di una bambina che viveva dall’altro capo di un telefono immaginario e io aspettavo che arrivasse, che venisse da me. E non smettevo di accarezzare i suoi capelli, nei pomeriggi in cui gli adulti si ostinano ad ordinare ai bambini di dormire, mentre non ne hanno affatto voglia. Nella mia terra, d’estate il mondo si fermava -ancora adesso succede- e diventava immobile, e l’odore del mare ti circondava ovunque, mentre la voglia di libertà si incollava alla pelle intrisa ancora di salsedine e sabbia. Prendere una bicicletta e fuggire, nel silenzio della casa, per lasciarsi frustare dal vento, ed assaporare il piccolo piacere della disobbedienza. Forse un ghiacciolo e poi tornare alla normalità, nel sole più feroce e sfacciato che io possa ricordare. La memoria stempera e livella e restituisce odori, sapori, come pugni sul cuore. E noi quattro, nelle mura di casa, a volte piccola, altre immensa, ed intorno al tavole, con le pesche al vino nel bicchiere e l’odore della notte in agguato. Gerani e zanzare, ed io e mio padre nell’imbuto della notte, a chiacchierare; come se fosse adesso. Ma non è adesso. Neanche ieri. Non è tanto tempo fa, ma è per sempre, la dimensione in cui ti lascio piccolina mia, oltre il male che ti ho tentato di fare, e che ti farò, anche se non voglio. Oltre l’afa di quella estate e dei dischi sul pavimento. Le dita si raccolgono come petali di un fiore, che ha solo paura di soffrire, e si richiude. E che sente che il suo tempo è finito. Perché piccola Sara, nessuno può farti del male se non te stessa. E se gli altri mai ridessero del tuo dolore, in fondo riderebbero solo del loro. Nessuno può sporcare i tuoi sogni se non lo permetti. Nessuno, se non proprio te stessa e la parte peggiore di te. Gli altri non possono. E tu non smettere di sognare, di tremare, di affidare i tuoi pensieri più segreti al vento. Così nessuno potrà più rubarteli. E resteranno tuoi per per sempre, come i sogni più belli, fatti di istanti e di autenticità. Senza che una inevitabile fine li scalfisca.  Solo tuoi. Nella tasca del tuo cuore. Oltre il tempo. Oltre questo misero tempo.

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