Ho le tue mani sul mio collo. Sento le tue dita seguirmi le vene e segnarle. Con un tocco deciso. Pausa dopo pausa. Come catene di carne e ossa. E' così facile masturbare i miei sogni? E attendo. E l'improvvida attesa mi pulsa nelle vene, contro la carne, a ridosso del respiro. Prima di colarmi a picco umida, più veloce di una lacrima. Mi basta poco per giocare con il mio fiato. E incolonnare soffio e saliva. Per disegnarci pile e perversa vertigine. Una cauta colonna da cui precipitare. Per penetrare il vuoto. E per smettere di donarmi. Vedere la delusione come un'ombra che si sovrappone alla fiducia. Una luna nera che mangia tutte le stelle. E le sgranocchia. E scava e scava nel buio. Sono allontanandomi la sua sagoma è netta. Quasi un alone. Era prima. E sarà ancora. Perchè non si smette mai, o meglio mai del tutto. E i cicli di noi legano altri diversi cicli di noi. Come ere geologiche. Strati su strati. Senza dimenticare mai. Solo accantonare. E riscopro quella saggezza che pervade le vite degli altri. E la contemplo. Astenendomi dall'infilarmici. E dal più ingordo infil_amici. Non è un antidoto, ma è la malattia. Quando pensiamo di accarezzare l'aria non lo facciamo invano. Mi piace credere che la forza del soffio, di quel soffio, ingnaro e sconosciuto, inevitabilmente sfiori qualcuno. E a volte lo sappia persino toccare. Una stretta invisibile. Perchè molte delle cose più belle sono invisibili. Anche la dolcezza. Prima di imbrattarsi nel corpo. E prendere le forme più strane.
Viviamo prestandoci l'aria.
A volte taccio.
La mia bocca si impedisce di dire.
Ma il mio corpo urla.
Fu allora, così, che mi ripiegai le labbra
come petali rossi e
fasciata dall'aria ripresi a camminare.
Passo dopo passo.
Mi piaceva pensare che stessi guardandomi.
E che mi disegnassi con il tuo sguardo.
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