E precipitevolissimevolmente io sprofondo. E di profondo soffoco, annaspo e quasi mi bardo. Capita così di spogliarsi, di privarsi di ogni forza ed indugiare nella cruda ed idolente nudità, quella del dolore. Lo incontriamo per caso ma lo curiamo, vezzegiamo, nutriamo, consapevolmente. Perchè separarcene ci renderebbe meno protetti. Dentro o fuori, non per chiarezza, ma per delusione. Come una pianta di prezzemolo sul davanzale. E' come se l'amore non portasse pensiero. Si inizia a pensare quando si è smesso. Forse il pensiero è solo un illustre e lusinghiero rammendo. Ti illudi di ricamare il cielo, ma stai solo cucendo e tappando buchi. Come se fosse facile dire per non dire affatto. E non raggiungersi mai. Chi ha la risposta migliore? E cosa vince? La caduta mi ha dilaniato l'anima. L'ha resa rivoli e pentimenti. E adesso al suo posto una fragola mi guarda e sorride. A volte prega. Sta imparando a piangere. La lotta con il tempo e con il vuoto, incalza e non ha più passi, ma solo morsi. Non fanno neanche più male. E neanche portano fame. Accorgersi dell'inganno non è la parte più difficile, ma lo è il resistere. L'ho compreso da tanto l'inganno, ma io adoro le favole; quelle contorte, dove il cattivo diventa sempre buono ed il lupo si innamora della pecora e si pente. Dura sempre poco, sempre troppo poco, ma quello sì che è vero amore. A volte capita di fingersi orchidea mentre si è una stupidissima margherita, leale e tenace, ma rinnegata dal suo stelo e destinata a rotolare in un prato sconosciuto. Uno dopo l'altro. E attendere e attendere il sole, in piena notte. Un intrepido ed indefinito incrocio tra fede e stupidità. Una eroica dilatazione del cuore. Una infedele mongolfiera. Parrebbe quasi una smodata forzatura, un incauto eccesso, come un rimesso dei pantaloni che si scuce mentre stai correndo. E' scarso tempismo o solo purissima sfiga? O quella scarpa che perdi, senza essere neanche cenerentola. A me le scarpine di cristallo fanno un male pazzesco. Si è mai vista una principessa in infradito? Raccontami una favola e donami una menzogna, per rendermi felice.
Ho perso petali e ciglia, ma sono ancora un fiore, se mi annusassi lo sapresti.
E tu non sai proseguire, neanche vuoi, ma devi.
Ti tocca perchè fermarsi sarebbe un modo stolto di continuare, senza finire mai.
Di nutrire quella pila di incompiuti traballanti.
Inconcludenza come un ventaglio che si slarga e non copre mai abbastanza.
Con il dragone che ondeggia con la sua fiamma nelle fauci di carta.
E ti ritrovi peggiore di ciò credevi.
Rubi nuvole, solo per piangerle.
Mi fa un male cane ricordarmi di averti amato.
Mi sforzo di distrarmi e di scordarlo,
come ho scordato te.
Ma in una parte di te
non smetti mai
di parlarmi e sussurrarmi.
E di abbracciarmi, fino a farmi male.
Fino a toccarci le ossa
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