Non ci vuole coraggio nell’esternare, ma nel tacere, perchè quel silenzio tutto rigonfia e svuota e poi spinge verso percorsi immemori, come una foce. Qualcuno la chiama perversione, o decisione, o salto. Un salto ad occhi chiusi, per rivestirsi di brividi. Un poco come il buio. La culla vivida dei sensi, la loro fervida casa. Mi piacerebbe sentire le tue labbra sopra i miei polsi. Strisciarle oltre i confini. Non devi fermarti, non voglio. E il tuo fiato tra le ciglia. Ancora, devi continuare. Respirami ovunque. E abbracciarti, lo voglio, fino a superare la nostra pelle, la mia, la tua, lenzuola ignote, come vene di una terra straniera. Parole umide su parole umide, lente o precipitate, respirando l’assenza di ogni traccia di presente. Oggi, questa notte, mi sento donna, come una stella blasfema, indecente, distratta, quasi incerta. Una femmina nuova, rinata, da un cielo dimenticato, da un suo angolo, da un pugno di carta, da un grumo di vita, dove ha ritrovato un respiro, come se fosse una virgola, e si è spinta fino a sentire la sua carne memore, colma come un orlo, in placida e armonioso tormento, un urlo che ha squarciato ogni innocenza. Guardami ancora. Marchio il mondo con la misura e l’eccesso. Esisto, ora, oltre questa pelle, oltre i suoi segni, oltre il mio cuore. Bacia la mia bocca che sa baciare la tua. Oggi sono questi sensi che sfidano il futuro e respiro indecente voglia, tutta quella che una stella sa. E può. E desidera, desidera ancora. Fino alla fine, poi resta il buio. Non avere paura, non di me. Non di te. Neanche del buio. Io non ne ho.
Sotto un sasso, nascondo la misura estrema e segreta di me stessa.
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