Una piccola confidenza, come un semino freddo nella terra calda. Gli fa da culla e lo circonda. Ed è il mio segreto. La speranza di un ciuffo selvaggio di felicità. Margherite alla deriva ed un volo di fenicotteri. Sapessi come macchiano. “Fermati“. Una spada sulla gola. La lama del tormento, e non sai spiegare. A volte la luce ferisce, chi è figlio del buio e altro non sa essere. E le parole. Troppe. Addosso. Dentro. Fuori. A volte sono inutili. Penetrano più di un amplesso. E non taccio. Per dimenticare. Quel buio che ho provato e che vorrei allontanare per sempre. E ancora la lama dal mento in giù, e una goccia di sangue. Vorrei baciassi le mie lacrime. La mente violata si spalanca più feroce e calda delle gambe. La lama ancora disegna tormento con la sua punta e con il sangue e taglia, morde petali e ne fa coriandoli di donna. Una riga per segnare la traccia e la scia di quel dolore caldo che scorga e zampilla, senza dignità. Oggi non esisto. Non ora. Non più. Il semino giace e si slarga, fecondo e prepotente. Non tradirlo quel barlume inerme di intimità, tra sdegno e noccioli. Solo la superficialità può. “No, non esisti“. Ti sei disegnata troppo nitida. “Sfumati, come una alba malconcia e stinta. “. Mai più colori veri. Dopo non ci sarai. Non devi. Adesso è dopo. O forse mai. O prima. Non puoi vestirti di tempo, perché il tempo rende nudi e scava. Dopo non ci sarai, perché è ieri, nell’istante del fremito. Dovevi mozzarlo ma non hai saputo. Il semino è un albero e tu non sei più la riga di sangue. E la ferita è solo deriva e non sa più essere sponda. Parole, senza senso. Precipito. Urlo, oggi il mio nome si frantuma. E non è un petalo. Neanche un sasso. Fiato, e urlo ancora. Io sono aria rubata.
Rubata ad un sogno, il mio.
Adesso lo so, non so più piovere.
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