venerdì 26 marzo 2010

Ho poco e molto nello stesso pugno. Mi sta divorando le mani. E un ramo nella pancia. Nel tentativo di fiorirmi dentro. E i suoi virgulti ad assecondare. L'anima. E la sua fame. E di frutti e di fiori si espande questo stato. Assenza. E timore del ritorno. Di schizzi di dolore. E di delusione. E solo poche parole. E io le dico. Mi esplodono. E le dico. E' solo un sussurro. E io lo ascolto. E poi il fastidio circuisce la bellezza dell'istante. E si fa freccia in mezzo al cuore. E scuote il ramo. E come un pugnale. Un solo taglio. E strati e strati di ricordi. Ci sono io tra quella carne. E quella terra è vasca del mio sangue. E quei virgulti si abbracciano d'oblio. E io non ci sono. Non lascio traccia. Non ho messaggi nè senso. Non cercatene. Per nessuno. Ho solo prati che crescono al contrario.
Quello che vedi sono radici e astuta tela di ragno.
E io sono persa nel profondo.
Nasce la natura e si rispecchia nel desiderio di ritrovare la sua forma. O forse è solo una idea.
Oggi mi chiamo foglia.
E questa riga sulle vene è il senso del limite.
E tremo di vento. E ho barattato il sangue con la linfa. Nei mie stomi c'è il solo segreto di una voglia di luce. Senza risposte. E' qui nel ramo che mi sta fiorendo dentro.Non c'è dolore. Solo il suo senso. E vedo. Foglia con occhi della notte. Fino agli inferi. Così mi sento. E non sto tremando. Non so più farlo. Un fiore si è impossessato del cuore. E vuole accarezzarlo. Prima di appassire. Allora avrà senso. Senso senza alcuna ragione. E nessun pallore. Solo luce. Quella è nell'impronta del sangue che ho scambiato. E in quella linfa galleggiano parole. Nessun significato. Solo respiro. Oggi sono foglia e ho voce invisibile. Sembra una ombra ma è solo il senso che si ribella.
E danza.
Niente e nessuno riesce a farmi negare la bellezza della vita.
E nel mio nome c'è la forza di superare la distanza.
E scavalcare ogni sillaba è già domani.

mercoledì 24 marzo 2010

Mi hanno insegnato a pensare pensieri esatti. E a mettere a tacere quelli fatti di sbagli e di orli scuciti e sghembi. E' così che si è popolato il mio magazzino delle sete moleste. Sporche di segreti. Mai quelli che credevano gli altri. Stoffe e nastri. Laboratorio delle torture. Assolutamenti sbagliati. Inesatti. Sognavano di essere prati e muri d'edera. E campi di lavanda perfettamente inclinati. A raccogliere il vento. Un piccolissimo soffio. Un alito. Un fremito. Nulla di più. E ricomporsi. Con i brividi che scivolavano tra le mie stoffe segrete.
Incontriamo per caso i nostri sogni.
E a volte qualcuno ci respira dentro.
Crediamo che vivano di vita altrui.
Ma sono solo nostri.
E quando gli altri smettono di soffiarci dentro
e smettono di accarezzarci il cuore
ci allontaniamo dal loro respiro.
Non è quello giusto.
E un pò odiamo i nostri sogni.
Ed è un pò odiare noi stessi.
E i sentimenti esatti che avremmo dovuto provare.
Quello di cui ho bisogno oggi è di un pensiero sbagliato. Dove i numeri si guardano negli occhi. Estasi o artificio? E si sorridono. E le somme non si cumulano ma si scindono. Tra formichine verdi. E nella clessidra i granellini non hanno nessuna voglia di scivolare. Fanno piccoli bracciali. Un pensiero assoltamente errato. Con regole morbide. E che ride mentre si fa chiamare esatto. "Sei esatto perchè nessuno ti dice che sei sbagliato". Forse non lo sa. O forse il loro mondo non ha mostri che si fanno chiamare sogni. E si modella ed adagia. Come la crema che valica il bordo. Senza margini netti. Un pensiero pulsante in una scatola. Dove il bene e il male non riescano ad arrivare.
Nasciamo e moriamo infinite volte.
E si chiama alternanza.
L'oblio ci uccide la sagoma.
E ci aiuta a riempirla di nuovo.
Siamo la battaglia tra il pieno ed il vuoto.
E là ci collochiamo.
Tra la luce ed il buio.
Ammaestro le mie dita.
A pensieri assolutamente errati.
E a ritrovare i colori.
Senza dargli nome.
Perchè il loro nome è gioia.
L'impercettibile urto delle cose con la luce e la nostra mente.
E forse anche con il cuore.
Io l'amore l'ho sempre disegnato a modo mio.
Ti strapperei le labbra per riempirmi di baci.
O solo di farfalle.
Nel corridoio tra la mente ed il cuore.

lunedì 22 marzo 2010

Non puoi raccogliere le parole che mi sputa fuori il cuore. Zampilli. Come da una fontana. Ho una fontana che si fa chiamare cuore. E le sue gocce sono semi spaccati. A metà. Per dimenticare una parte di sé. E dei se. Masticati e piantati. Nella mente. Anche io li ho masticati. E ho chiuso gli occhi. Li ho spinti dietro. Dentro. Nell'anticamera dello stupore. Come spore. Hanno danzato un valzer prima di leccarmi il fiato. E tutte le parole che non ho mai detto. Sono veleno e miele. Intensi ed impuri. Macchiati. Come se fossero stati baciati dal sangue. E hanno fatto ritorno dopo questo bagno di assenza. Nelle mie pupille. Prima di tuffarsi dalle palpebre. E intrecciarsi alle mie ciglia. Le stesse ciglia con cui ti scrivo. Non puoi raccogliere le parole che si fanno chiamare semi. E sono alberi implosi. Rimbalzati dalla fontana sputaemozionimaforseeranosolosensazioni. Invisibili. Stanotte nel silenzio sono scivolata sulla mia ombra. Come su una slitta. E un semino mi sorrideva. Gli ho accerezzato la sua pelle liscia e odorosa di semino. E gli ho sorriso. Mentre continuava a vagare. Non ho fatto nulla per fermarlo. E mentre ancora cercavo di parlargli la mia ombra mi aveva portato già lontano.
La fontana ancora scorre.
Non ha argini.
Nè meta.
E tutte quelle parole sono una pila.
Traballante.
Ascensore.
Verso un cielo vuoto.
Dove poter rotolarsi.
Nella casa delle bambole ho smarrito una scarpa ed un occhio di vetro. E spio fuori dalla finestra la vita delle bambole. Le osservo che falsamente osservano. Forse vorrebbero parlare. E studio l'istante in cui smetteranno di accorgersi degli occhi che le guardano. Staccheranno dagli occhi le loro ciglia finte e stingeranno la loro buccuccia rosso vermiglio. E si puliranno le guance. Dal belletto con cui dovono imbrattare. Pallide le gote. Fatte di neve calda.
Allora schiuderanno le labbra in un sorriso.
Io conosco la loro lingua.
La sento perdersi nella loro voce fatta di acqua.
E la fontana lenta si stinge nel silenzio.
Domani inizierà ancora a piangere parole.
Questa è malinconia.
La voce del prato.
Dove la rugiada si insegue.
Prima che il sole spunti
e si sciolga
dopo averla asciugata.
Come il nome dell'amante
sulla collina del piacere.
Se chiudi gli occhi la fontana
ti lascerà scivolare la mia voce.
Dentro.
Ti sembrerà delirio.
Ma è solo pane e acqua.
Una primavera mi sta ridendo in faccia la sua asciutta armonia. Ha note e sillabe. E fianchi come valli. Morbido è questo disordine che mi strofina l'anima contro i muri. E mi oscura la danza delle farfalle lilla. Le vedo e le intravedo. E io confondo i muri e le loro crepe con gli specchi in cui cercavo le mie trecce. E mi perdo nelle orme e nelle tracce e nelle impronte che lascio. E liscio. Sangue contro muro e carne. Un batik umano. La luna si è impiccata. E le striscio come cantilene di luce. Senza la pietà. Come rigurgiti di una intimità frantumata. E un occhio mi piomba dentro la pancia e mi osserva muto come un pesce. E muovo le sue branchie tremanti per farlo respirare. E lo nutro. Perchè mi sta donando una conferma dell'orrore. Per paura che mi abbandoni. Perchè è quello l'unico istante in cui so tremare. In cui sputo il cuore. E da qualche parte si agita. Ma non lo so stanare. Usi sempre le stesse parole. E le stelle si sono annoiate. Sono una scatola trasparente. Senza mistero. Il pesce mi zompetta nelle vene. Ma forse è solo un misero moscerino. E io una boccia. Vuota. Nè mare nè sirena. Nè rena luminosa. E ogni primavera che ti sorride dilata la distanza. E io sono là che mi tendo e protendo che cancellare quello spazio. Poi lei mi osserva. E io capisco che è solo per aggiungere una croce. Perchè che tu non sei da me.
Tu non lo sai che quando torna l'inverno il mio labbro inferiore sanguina.

venerdì 19 marzo 2010

Poche parole. Sul palmo. Le labbra le seguono. Segugi devoti e fedeli. Bramano il percorso. Le seguono come si segue l'acqua. Sciolano e si adagiano nelle sue forme curve. Lenta la via. Si schiude in un bacio. E assapora una promessa. Ogni promessa ha del sangue dentro. E piccoli pezzi di occhi. Frammenti delle loro pupille. Una bolla di sapone sporca l'aria. Incanto fragile. Inseguo luce. Solo per poterla soffocare sul mio palmo. Pietra del sacrificio. E lisciarla. Accarezzarmela addosso. Poche parole. Sempre meno. Baratto con il silenzio i miei baci. Adesso è ghiaccio. E io non sento. E le parole inseguono i pensieri. E i pensieri si nascondono nelle parole. E io non sono al centro. Ma in una equidistante assenza. Tra l'amore ed il giusto. E poi lo chiamo vuoto. Ma è un pieno esasperato dalla voglia di altro. Le mani mimano il vento. E misere carezze imitano il respiro. Un filo d'erba sta sorridendo. E' il ricordo dell'inizio. Quello che inevitabilmente svanirà. L'incanto svanisce sempre. Se lo copri e gli togli l'aria.
Sto per mordere la mela.
Spero che sia quella avvelenata.
La metà di cui tutti hanno paura.
Per immergermi in una vasca di sogni.
E saperla nascondere a fondo.
E svegliarmi con la mente sedotta.
Dalla luce.
Quando sarà il momento.
Dentro di noi ci sono continue battaglie. E la vita è l'avvicendarsi di continue scelte di amore. Atti di amore invisibile. Implicite e sincere. Esplosioni di vita. Svolte e inversioni. Apparenti rinunce in cui si celebra la volontà. Perchè l'amore è la sola verità. E solo nella verità c'è l'amore. Ma parla una lingua tutta sua. Fatta da echi lontani. Dalla voce segreta della pelle. Dal respiro del cuore. Da pause. Da finestre che si aprono e chiudono.
Stanotte ho dormito con la finestra spalancata.
Ho soffocato con la luce ogni spiraglio.
Per cercare la luna.
E mi sono addormentata mentre mi baciava la nuca.
Io ci credo.
Pioggia fragile. Lacrime di farfalle ebbre. Hanno ingerito peccaminosi sorsi di futuro. Schizzi di sogni. Rubano le ali. E le cuciono su petali ignoti. E fiori come nodi. Memoria perversa della terra. Solido ricordo del suo ventre pulsante. Capace di sputare un divenire alterno. E plasmare. Passato e presente e fili di futuro. Trama di vene d'aria. Le foglie sono labbra assetate. Baciano l'aria solo se c'è vento. Si librano e tremano tra strati di luce e di buio. Ripensamenti di formiche stanche. Prima di lasciarsi sprofondare. Molliche sparse e cunicoli di buio. Asfittiche foreste di steli. Coperta sotto il cielo. Ombrello di aria e prato.
Le mie mani hanno l'odore fiero dell'erba. Perchè sono radici invisibili. Suggono linfa e regolari scampoli di respiro. Corde di aria e carne. Pioggia e aria. La pelle della vita che scorre.
E al centro un puntino.
Perso.
Una pietrina turchina.
Segreto che si batte dentro.
Pulsa. Si è impregnata di cielo. E ha voglia di brillare. Ma non sa farlo. E' che la pioggia non le arriva mai. Non la tocca. La carne è la coperta del sassolino scalzo e nudo che una volta ha toccato il cielo.
Sottile è la perversione di volerci lasciare un segno.
Chiamarla desiderio è un meravigliosa indecenza.
Impercettibile è la differenza tra dilaniarmi e dilatarsi.
Per comprendere e ricomprendere dentro.
Logica e ragione.
Ragione e sentimento.
Brivido ed ossessione.
Mancanza e bisogno.
Ring composition della pelle.
Nascondersi per fari cercare ancora dalla luce.
Siamo perimetri pieni di crepe.
A caccia di calore.
Anche le lacrime lo sono.
Piccoli fiumi caldi.
Seguimi. Ti condurrò nei miei inverni. Fatti di occhi di bosco e mani fatte di neve. Mani che il sole scioglie di giorno. Per nasconderle. Evaporano e si rifugiano nella luce. Tra gli stomi tremanti delle foglie. E le disegna di notte. Artigli di rapaci che affondano nel cuore. Seguimi. Mi troverai nella pancia delle stelle. Nascosta per paura del cielo. L'unico modo per non vedere le cose è fuggire. E bendarsi con la distanza. Con il muro del distacco. E nascondersi dentro. Ne puoi dimenticare forma e fattezze. E ripeterti che non esistono. E vederle dentro le fa sembrare così fragili. Seguimi. E tra le mie ciglia raccogli le mie lacrime. Minuscoli cristalli opachi. Raccoglile come semi di stella. Segreti senza fessure. Da deporre sotto il cuscino.
L'amore è la comprensione del vuoto che ci batte dentro.
E a volte esplode.
E ci invade con i suoi frammenti.
Schegge taglienti.
Ci attraversa in cerca di un punto morbido.
Dove incidere.
L'amore è arrivare a quel punto prima che inizi a sanguinare.
Una corsa contro il dolore.
Destinata ad essere persa.
Perchè è così che si vince.
Seguimi. Nella mia valle scalza di papaveri e corolle. Seguimi e dentro i miei prati e tra la malinconia delle farfalle sciogli i miei tormenti. Seguimi. E fingi di non trovarmi mai. Per farmi battere il cuore ogni volta che la tua ombra sorriderà alla finestra della mia anima. E potrò scivolare dentro di me. Affondarmi. Come un cerchio senza raggio. E pensarti. In un punto qualsiasi di me. Della circonferenza che mi possiede. Seguimi. E prendimi per i polsi. Mordili e uccidili di baci. E poi raccontagli fiabe per farli scivolare in un sonno fatto di serenità soffice. E io dormirò di te. Te lo prometto.
E mi mescolo al più vago senso delle cose. Ai loro contorni. Al loro odore di timida normalità. Di giorni irriverenti che rubano luce al sole. E li barattano in sorrisi e saluti. E in musi duri. E vesto i pensieri di rassicurazioni e di realtà. Pensieri di pane. Vita che ha dimenticato il tempo. Ed impedisce agli istanti di dilatarsi. Di rubare spazio. Di stiracchiarsi. Con le braccia nell'aria. L'odore della luce. Una percezione. Pulita come un vetro strofinato. Nessuna quotidianeità può cancellare il senso. L'indefinito che smargina oltre il momento. La minuscola traccia della storia che ci è rimbalzata contro. Vite fatte di concretezza. Vite che rivestono anime. E un pò le coprono. E scoprono. Fino a masticare i lori segreti. Che segreti non sono. Ma caso che si è incastrato in una pietra. E li stana dai cantucci più remoti.
Sembra finzione.
Passi sulla pietra. Lucida. Sconosciuta. Fredda. Si riempie delle mie impronte. Scalze e spavalde. Passi nel buio. Senza urtare gli ostacoli. Perchè ostacoli non sono. Agli occhi amici del buio. E percorro la mia stanza come una gatta indolente. Una gatta che lentamente avanza. Non sa guardare il cielo. Forse neanche sa che esiste. Oltre la camera. Oltre la porta contro la quale struscia la sua coda. Prima di accovacciarsi. E riempire l'aria dei suoi sogni da gatta. Mentre si canta una ninna nanna fatta di incomprensibili fusa.
Non è finzione.
L'anima sa. Ha imparato. Si è spinta. E' stata respinta. Sa che si può. Annusa la traccia. La stringe forte. La raccoglie. La ritrova. Nella tana della voglia. Nell'istante espanso.
E' un bottone. Un mestolo. Un ago. Un mozzicone. Una monetina. Una perla. Una calza. Uno slip. Un orecchino. Una chiave. Un rossetto.
Oggetti. Senza dettagli. Il dettaglio siamo noi. Un dettaglio fatto di mente.
Mentre gli rovesciamo addosso la nostra identità.
Viviamo attraverso le cose.
Cose tra le cose.
Sono un foglio bianco.
Riempimi di parole.
Una cascata.
Sulla mia voglia.
Rendimi un oggetto vivente.
Pulsante.
Capace di sogni.
Rovescia vita sulla mia carne.
Lasciamela rotolare fuori.
Come se fossi carta inerte.
Ed inerme.
E soffia vento su vento.
Intorno al mio cuore di carta.
Non sa più tremare.
Strano. Tu non ricordi quello che mi dicesti. Erano semplici parole. Lettere e sensi. Le parole che mi schizzasti nella mente. Io l'ho serbato. Quel piccolo tuffo. Il leggere movimento che mi ha spinto le iridi sotto le ciglia. E giù. A picco. Dentro di me. Quel vaghissimo ed indefinito pensiero. Una nuvola fatta di parole. E nascosta dentro un fosso. Nella mia caverna. La culla dei miei dubbi. E dei desideri. Confessioni mai sussurrate. Arbusti senza confini. Rami che mi graffiano le tempie. E mi ricamano di graffi coscienza. E braccia. Mappa di un delirio mai pianto. Era quella la primavera che annusavi. E a volte mi estraggo le parole da dentro. Ci sorrido contro. Indecisa se distruggerle o nasconderle ancora. O farne pallottole. Parole. Figlie dell'inverno che ci sappiamo donare. Da ripiegare come un fazzoletto. Strano. Neanche io lo ricordo. "Scusa...ma tu chi sei?". "No. Non mi ricordo di te". A volte neanche io mi ricordo di me. E mi stupisco come tutto questo possa continuare. E nascono come papaveri a giugno piccole bugie. Magie sporche di una verità più grande. Nel grano e nel vento. E tutto si pulisce. Ma solo alla fine. Sotto strati e strati di respiri sbagliati.
Viviamo con la strana idea di saper provare tanto e troppo.
Di avere sublimi sentimenti.
Di avere parole che non riescono ad esprimere il tesoro che è sepolto in noi.
E' tutto così semplice.
Basta scavarci.
A mani nude.
Nella terra di cui siamo fatti.
Nulla di scintillante.
Solo acqua.
Non sempre pura.
Ma acqua.
E scava.
Ci dona percorsi.
E conoscenza.
Pezzi da incollare.
Fino all'oblio.
Quello che sentiamo è un morso alla tasca gigante dell'amore che tutto avvolge.
Invisibile e silenzioso.
Un minuscolo velo sterminato.
Un immenso pane.
Forse una magia.

Donami magie fatte di pane.
E sincerità.
E se non ne hai inventa una bugia che sembri vera.
E' blu il dolore. Io lo ricordo. Fili di cielo intorno al cuore. Come corde. E fili blu che si allargano e stringono. E cuciono storie strane su strane menti. Fili parlanti. E le loro parole sono fatte del pianto di fiori. Del volo e del delirio di petali strani. E blu è l'impatto. Lo scindersi. Come odore del mare che si insinua, ti sussurra dentro e non arriva mai. Blu come l'assenza dopo il desiderio. Dopo l'immensità del cielo nella tempesta. E resti a guardarlo anche se intorno piove. Gridandoti che non vorresti finisse mai.
Gocciola il dolore.
E scava e incide.
In un punto esatto.
Quasi lo scambi per piacere.
A volte la vita sembra un enorme masso di aria.
Sopra il cuore. E non ti resta che raccoglierti e ricominciare a vivere. E a viverti. A frequentare la tua mente. Hai quasi paura a dirlo. E te lo sussurri. Per il timore di perderti nelle parole.