Per una volta ho osato con le parole. Ho provato a dire più che potevo. E mi è sembrato strano. Mi sentivo ridicola nel rilasciare l'affetto, il bene, su un biglietto. Come quando ero adolescente e macchiavo fogli sparsi, perchè non mi piaceva tenere un diario, con i miei pensieri e le mie confidenze. A me. A me stessa. Ero l'unico diario su cui appuntavo le mie emozioni, e tutto quello che sembrava tale.
Era Natale e mi trovavo con gli amici ad una festa. Qualcuno ballava, qualcuno beveva, mentre c'era chi socializzava, in ogni modo possibile e plausibile. Altri osservavano silenziosi, assorti in una distrazione quasi affascinante. Si trovava sempre un posto dove fare festa, o una cosa simile. Una grande stanza, dei genitori tolleranti, qualcosa da bere e la musica, perchè la musica avvolgeva ogni cosa e le dava un vestito speciale. Mi sentivo strana nella gonna nera nuova, regalo di mia zia, e mi ero rifugiata in una poltrona di velluto. La mia amica Mara ballava, Angela giocava a carte mentre io e Daniela ci raccontavamo quello che era accaduto in quei giorni. Non credevo dovesse esserci anche lui alla festa, come mi avevano detto gli amici. Lui restava in famiglia, in quei giorni. Lo avevo conosciuto per caso, forse ad un'altra festa e mi aveva accompagnata a casa. Avevamo parlato un poco, ma era alto e la cosa mi piaceva. E poi gentile. COn le mani belle. E anche quella cosa non mi dispiaceva. Prima delle vacanze di natale mi era venuto a prendere a scuola qualche volta. Lui lavorava e mi sembrava un adulto. E io mi lasciavo circondare dal suo odore buono. Ci hanno abituati ad immaginare l'amore come qualcosa di angelicato, mentre le cose che ci restano impresse, sono gli odori, i respiri, la saliva, gli umori; tutta roba dotata di una corposità media. La mia amica scivolò sul bracciolo prendendomi in giro. E io ne ammirai i capelli lunghi e ramati e la linea perfetta. Io ero diversa e non mi sono mai piaciuta. Ma questa è un'altra storia. La lasciai alle spalle mentre si aggiungeva ai danzatori solitari e mi diressi verso la finestra, mentre la musica copriva le nostre parole e le nostre risate distratte. Echi di una spensieratezza così lontana da sembrare non essere mai stata nostra. E mentre guardavo la strada lo percepii dietro di me, non vicino, ma solo presente. E mi voltai con una faccia tra l'ebete ed il sorpreso, mentre mi spettinava, come sempre, prima di sporgersi cortese per farmi gli auguri. Gli auguri di cosa, chi lo sa. A quel tempo tutto era occasione per toccarsi, per scoprirsi, perchè si ignorava la preziosità della intimità, quella che solo la maturità ti fa apprezzare. Nell'altro angolo della stanza c'era lui, il ragazzo che avevo voluto da sempre e che avrei amato, o giù di lì, ancora per molto. Mi sembrò che ci guardasse mentre ballava con una ragazza mora che mi sembrava altissima, o solo una stronza che si stringeva a lui mentre si parlavano nell'orecchio. Ed era così difficile restare indifferente. Da poco avevamo smesso di fingere di volerci bene. Uno dei suoi tradimenti. Una strana vertigine mi turbò, prima di guardare il mio nuovo amico, e mi sentii tagliare da una gelosia affilata, mentre la sua mano si infilava tra i jeans ed il maglione verde della stronza che ridacchiava. "Portami via" dissi, sorridendo disperata, o solo felice di vederlo, in uno stato di grazia indotto. La mia amica decise di non seguirci e io mi stringevo nel cappotto mentre una sconosciuto mi teneva per mano, giù per gli scalini, come se fosse un gancio, e la musica si allontanava e mi sentivo meno contratta e più audace, quel tanto che basta per fare una cazzata, perchè solo quella mia avrebbe salvata e ne avevo bisogno. Quale è il confine tra l'essere triste o incasinata? A quei tempi avevo già perso il bandolo della matassa. "Dove andiamo?" mi sussurrò facendosi vicino e passandomi il braccio intorno alla vita. E tutto questo mi inebriava, mi dava una deliziosa sensazione, quasi vicina alla vendetta. "Metti in moto, giriamo un po', così parliamo". E mi sentivo assolutamente capace di sbagliare e lo volevo. Avevo bisogno di stordirmi e mi resi conto che esiste una energia che va oltre il sesso, e che forse sta anche prima, e che quasi si avvicina alla perversione, senza esserlo, uno strano magma che copre e trascina i sensi e io volevo essere sommersa, non respirare, stare sotto, senza soccombere. Rifugiarmi nel mio corpo, come se fosse la tana del piacere. Ed esercitare, dosare, per poi precipitare, nella perdita del controllo, mia e, ancora di più, sua. Sogniamo le grandi passioni e le immaginiamo come falchi in volo, dalle ali immense. E se fossero invece tutto si riducesse a vene che si intrecciano, si scontrano, si adagiano contro e si mescolano alla carne, avvicinandola, senza condividere mai, ma preservando il nostro egoismo nel modo più elementare che conosciamo. Non pensai sicuramente tutto questo, pensi molto meno, mentre lui tentava di prendermi la mano e io lo sorpresi. Come la peggiore delle ragazze. Cruda come la terra che si spacca nel gelo.