giovedì 17 dicembre 2009
Ma non smetto mai di smettere.
Non sento. Al centro di me un'arpa di carne sta rimestando pensieri e desideri e sogni. Una musica imperfetta. E meravigliosamente scomposta. Mi fa credere di essere vita. E mi spinge i battiti nel cuore.
Imperfetto cuore.
Era un gioco bellissimo.
Così bello da non essere gioco.
Ma lo chiamavamo così.
Per dargli maggior senso.
Io chiudevo gli occhi e tu mi parlavi. E ti raccontavo dei colori che vedevo. E senza riaprirli tu continuavi a parlarmi. E tutto mi sembrava una sola parola. E i colori cambiavano sempre. Avrei continuato per sempre. A lasciarmi disegnare nuovi colori dalle tue parole.
Poi il gioco finì.
Ma non era un gioco.
Mi sento pozzanghera.
In cui sono colati a picco mughetti.
Con una immensa voglia di compattezza.
Basterebbe lasciarsi evaporare l'inverno.
E se noi cambiamo, il prima resta là.
Senza di noi.
Senza cassetto.
Noi siamo il cassetto della consapevolezza.
Senza maniglie.
Nessuno può aprirlo.
Si vede solo dall'interno.
Ho sognato che arrivassi là dentro.
Al centro di me.
Dove io non sono mai stata.
Ma era solo brezza leggera.
E il resto vaga. Si dondola. A zonzo. Nel prato dell'indifferenza. Un prato di fiori ammalati. Senza stelo. Corolle di sfacciata bellezza. Ladre di odori. E colori.
So solo secernere pensieri contorti.
E la mia luna ha sgozzato il cielo.
Dopo essersi donata.
Lo ha amato.
Disperata ed efferata.
E poi lo ha teneramente ucciso.
Non so più usare le parole giuste.
Le mie mani scavano in quel prato.
Non per cercare un seme.
Ma per donare uno stelo a quelle corolle pazze.
Vorrei saper scivolare tra le parole.
Accarezzarle.
E curarle.
Lasciarle vagare nella tenerezza.
La morbida nuvola della dolcezza.
Ma non ci riesco.
E le mie mani ancora scavano.
A volte li rivedo i tuoi occhi.
Hanno il rumore del mare.
Incorniciati nell'abbaiare di un cane.
Diventai crudele e allora compresi.
Mentre la rabbia mi segò le vene.
Il "per sempre" dei miei sogni era stato ingoiato dalla tua bocca.
La mano tra i capelli.
E la tua presa maschia e ruvida lasciarono una scia.
E mi rotolò al centro della guancia.
Camuffata da lacrima.
Tu le baciavi le mie lacrime.
Mi bevevi e sorridevi.
E io tornavo crudele.
E mi raccontavo sempre la stessa storia.
Per addormentarmi.
Il latte sul comodino.
E la zanzara sotto il ginocchio.
L'odore del mare cancellava tutto.
E mi ritrovo a volte con un fardello di rabbia.
Sconosciuta.
Macchia.
E mi lascia senza forze.
Mi sbatte dentro un pozzo.
Vedo il mondo attraverso la sua bocca.
E sento con la sua pancia.
E a volte l'odore del mare non basta.
No.
Non basta.
E' che la nostra memoria si agita in un mare di sensi.
Ed ogni senso ha la sua memoria.
Mi vesto di parole.
Mentre le tempie di esplodono.
Come se fossero la gabbia di farfalle in delirio.
Mi vesto di parole.
Ma non dico mai quello che voglio.
E' ancora sul fondo.
Nel mio presepe?
C'è una cartolina, un tappo di bottiglia, un'ape, una mela e un ragno.
Confidavo i miei segreti ad una coccinella.
Ma poi le strappavo le ali.
Ogni volta custodisco dentro il desiderio di potermi mostrare come sono davvero. E mi tolgo i pezzi. Mi smonto. Con la voglia malvagia di fiducia. Di affetto. Perchè il mio è un sogno senza limiti. E senza regole. Mi smonto e rimonto. Ma incastro male i pezzi. E fa un male cane. Anzi un male gatto. Graffia e miagola a volontà.
Non so suonare la cetra nè alcuno strumento.
Ma se chiudo gli occhi la musica mi sconquassa la testa.
E mi morde le vene.
Da bimba intingevo il dito nel vino e lo cospargevo sulle labbra.
Come se fosse rossetto.
Il mio cuore profuma di mela.
Ma la bestia non lo sa.
Odora di mela e perdono e veleno.
Mi cerco.
E mi perdo.
In un punto inesatto.
Impreciso.
Di ritorno.
Delirio e fragilità.
E non è la stessa cosa.
Ma non posso dirlo.
Se tremo è solo per il freddo di una notte troppo ispida.
I suoi spigoli stanno roteando in qualche cielo.
Con la sola voglia di ribaltarlo.
E colano a picco lune.
E poi lune.
Le conto per addormentarmi.
La belva è sveglia.
Mi ha rubato sensi e dolore.
E non oso chiederli indietro.
Conto lune.
Per dimenticare.
Le riconto per ricordare.
Ho il ventre pieno zeppo di lune.
Prima poi esploderà.
Se io avessi un coltello ci darei un taglio.
"Passamelo".
E accartoccio i pianeti e le stelle che mi separano dal resto.
Fino a farne una pila incerta sul mio comodino.
Basterebbe un pò di vento per farla cadere.
C'è ancora il suo odore nei miei polpastrelli.
E non basta lavarsi le mani.
E diventare catena invisibile.
Una luce che scompare.
E tenti di afferrarla.
La fuga ti graffia le dita.
E poi la mente.
E stai ancora scappando.
Punto e a capo.
La luce della sera spinge l'ombra contro il soffitto.
La sbatte come il desiderio.
Mi sono sempre guardata dal di dentro.
Infinite volte.
Ci ho provato da fuori.
Una sola volta.
E ho visto.
Petali strappati.
Senza sangue.
Un fiore appassito che disperato urla.
La voce rubata alla terra.
Alle sue viscere.
Annego nel vuoto.
E mi perdo.
Senza radici.
Perchè la terra ama
attraverso le sue radici.
Immensamente.
Devo scrivere. E lo faccio. Per dimenticare ed accantonare. Il senso di errore. Di impudicizia. Vorrei violentare il tuo pudore. Scrivere è tuffarsi in un lago di oblio. Dalla realtà. Il tuo silenzio vibra di mille respiri. Vibra di sangue e di passione. Ne mordo un pezzetto. Lo trattengo tra le labbra. Così sei un pò mio. E io tua. Con pezzettini del tuo silenzio tra le labbra. Questo è l'ombra dell'appartanersi. Annegato nei sensi. Perchè se ti penso, dalle labbra mi coli a picco. Dentro. Come un antico galeone. La verità brucia ancora. E continuerà. E' uno spessore di ghiaccio. Incandescente. Nessun palliativo. Solo angoli di desiderio. Puro. E a volte impuro. Mi stai navigando ancora dentro. Sono il tuo mare.
Sembrava ieri ma era domani.
Tu dove eri?
Mi dormi sopra e non mi ascolti.
Dove si è perso il senso e la misura tra me e te?
Ti sussurro il mio bisogno ogni e ogni notte.
Lo soffio tra i tuoi occhi chiusi.
E le mie mani affondano nel tuo sonno.
Senza coraggio.
E forse senza viltà.
Ai margini. Nascoste dietro una tenda. Le mani si intrecciavano. Come spighe nel vento disperato. Strofinanandosi l'assenza contro. Fino a non sentirla. Sentivano solo la dimensione di mano. E le dita che si aprivano come fiori al mattino. Coppe di rugiada. A scavarsi d'ardore. Pudico. Le mani si osservavano. E osservavano il mondo. Sfiorandolo. In una rete di sogni. Leggera e morbida. E a dirlo già si fendeva. La trama cedeva al peso degli sguardi. Si sussurrava d'amore. Nel silenzio si sublimava la sua voglia. Mai vissuto. Fino in fondo. Libere di guardarsi tra le ciglia della notte. Le mani si dormivano addosso. Ed era semplice. Ma bellissimo. Da non volerlo lasciare finire mai.
Ho scavato in una terra dimenticata. E vi ho ritrovato pezzi del mio pudore perduto. Sminuzzato. Conservo pezzi di me. Per impedirmi di tornare a essere meno che quella. Un giro inutile. E si proclama l'ultimo. Mentre l'incanto e la meravigliosa stanno scorrendo altrove. E respirano forte. Da sembrare urla.
E non è la mia povertà.
Ma la mia unica ricchezza.
La mia pelle è la casa invisibile della mia anima.
Invisibile come me.
Sono una donna invisibile.
Con il cuore trasparente.
Nessuno lo vedo.
E non ne conosce le righe.
Non lascio traccia.
Ma ne conservo.
Tu non lo sai.
E ora che mi sono spaccata le ali
finalmente sento la terra sotto i piedi.
Le ho squarciate.
Perchè altro non so fare.
Distruggere mi fa pensare che un giorno
diventerò migliore.
Ma forse lo ero già.
E oggi è domani.
E di polvere e residui bellici scrivo pensieri.
Detriti organici della mia guerra fatta di carne.
E vita.
Perchè io ci rimetto pezzi.
Ogni volta.
E questa volta sto provando a trattenerli.
E sentirli miei finchè posso.
Perchè quando non ne riconoscerò l'odore
vorrà dire che sarò diversa.
Scrivo pensieri senza traccia.
Con una eco muta.
Ho un cuore invisibile e affamato.
Tu non lo sai.
E non sa resistere alle parole.
Lo puoi graffiare senza accorgertene.
Le mie dita di carne non riescono ad afferrarlo.
Ed è disperata la loro indegna presa.
Mi ritrovo farfalle furenti tra le mani.
E la mia bocca non sa leccare il suo sangue
immaginario
ed insolente.
Nessun volo.
Nessuna finzione.
Solo occhi smangiati dallo scorrere del giorno.
Con la luce che li percorre al contrario.
Ad inseguire il filo di un discorso.
E le parole mi tornano contro.
Tu non lo sai.
Come sono con gli altri.
Mentre con il fiato ti lascio ricamare il mio collo.
Ti svuoto la verità.
E mi riempio.
E ti lascio battere il cuore contro la mia schiena.
Fino a sentirlo mio.
Come se battesse al posto del mio cuore assente.
Non sai che so strisciare come una gatta affamata.
E contorcermi l'anima come se fosse un mantello.
Non lo sai che con te sono diversa.
Non lo sai.
E non lo devi sapere.
E devi pensarmi peggiore.
E' questo che voglio
Mi sembra di sentire la sabbia tra le dita.
Come se fossi solo buio.
Sabbia e buio.
Annuso la salsedine che non c'è stata. E là mi disegno la forma delle parole. Come se fosse la pagina innocente di un libro.
Ma io li vedo i miei colori.
E' che sono gelosa della mia luce. E la impicco. Sono gelosa di tutto quello che mi sfiora. Di ogni conchiglia che si incastona sulla mia riva. E' maledetta debolezza questo orrore che mi stringe il cuore. Mi innietta il suo veleno nelle vene. E graffio la mia mente di paure. Quelle di sempre. Fatte un pò di vita e un pò no. L'antivita si insidia nei ricordi e li frantuma e te li infila sottopelle. Al posto sbagliato. E se ti muovi si infilano nei tuoi movimenti. La sabbia adesso è arrivata al cuore. Immobile. E' così che devo stare.
Ad ascoltare.
Le mie parole nude.
E le ascolto.
Ma non sento più.
Le vedo tremolanti e supplici.
Scivolano come lacrime mai piante.
E rotolano come i sorrisi che non ho saputo donare.
Spente tra i battiti del mio polso.
Ingoio parole.
E la loro forma.
Perchè le mie parole nude adesso tacciono.
Come se fossero vergogna.
E forse lo è.
E nuda è la mia bocca.
E nudo anche il cuore.
Guardavo i quadri tutti insieme.
Più che potevo.
Ogni volta me li lasciavo esplodere nella mente.
Accumulavo sensazioni.
E confondevo.
Finchè decisi.
Solo uno.
E non ho ancora smesso di guardarlo.
Perchè guardare è amare immensamente.
E prestarsi gli occhi.
Come se fosse una occasione.
Mentre è solo pura causalità.
Irregolare come il guizzo che ci morde il respiro.
Fino alla morte del mostro chiamato coraggio.
domenica 13 dicembre 2009
Ogni volta mi ritrovo incastrata nel mio errore fatto di amore.
Anche adesso sta tremando sui polsi.
Mi lascio schizzare la pelle di brividi.
Fino a dimenticare il mio cuore.
"La bella lavanderina che lava i fazzoletti...".
E a volte l'attesa diventava lurido poi.
Basta chiudere gli occhi.
La pretesa macchiava i vetri della mia stanza. Fuori il mare sbranava la sabbia d'inverno e rubava terra agli agricoltori. L'odore del mare era aspro e selvaggio. Sembrava fatto di denti. E di proroghe inutili. E sul vapore della mia finestra scrivevo storie. E le cancellavo.
"Dai un bacio a chi vuoi tu..."
Cancellavo le mie impronte. E mi perdonavo. Di averti perdonato. E i tuoi baci sapevano di tradimento. E li stringevi al mio collo. E ti stringevi a me. Fino a rubarmi l'innocenza in un sorriso. Dimenticavo. Credevo. E questo significava solo che avrei conservato quella sensazione umida e appiccicosa. Donna a metà. Il resto è volato via. Mi piace pensare che sia diventata stella.
Ancora adesso se vedo vetri umidi
mi tremi dentro.
E devo spalancare le finestre.
Forse è da allora che ho imparato a non vergognarmi dell'amore.
E' la voce del fuoco che a volte mi parla dentro.
E mi costringe a tacere.
Non volevo nulla.
Non ho chiesto nulla.
Solo la verità.
E il fuoco me la ha data.
Prima di distruggerla.
Non ho equilibrio. Rido. Assolutamente scomposta. Rido ancora. Smorfie di sdegno. Spalanco gli occhietti. Inclino le ciglia per farci rimbalzare una lacrima. Esplode come un fuoco d'artificio. Alla festa del patrono. L'odore dello zucchero filato rovina lo sdegno.
Non ho equilibrio.
Mi fingo seria.
Occhi a gatta e bocca contratta.
Di notte mi manca la luce.
Di giorno mi manca il buio.
Devo assolutamente incastrarmi in un alba e un tramonto.
Sul loro bordo.
Nella tenerezza incerta ed inquieta del confine.
Ma non ci riesco.
Colpa del fuoco.
No.
Non ho equilibrio.
Ma è così bello lasciarsi pettinare dal vento.
Hanno una immensa fame di aria.
Di aria morbida e sincera.
Come solo l'aria sa essere.
L'aria non mente.
Ho smesso di cercare le risposte negli oocchi degli altri.
E ho aperto i miei.
Ogni comodo segreto è stato avidamente deflorato.
Come se avessi ingoiato pietre.
Amo sentire le pietre.
La loro voce vergine.
Sono vergini con tante anime.
Ma una sola voce.
Amo cercarne le imperfezioni più intense.
Fatte di tempo.
La mia purezza fu un dono non richiesto.
Era nella mente.
La avevo spogliata di ogni difesa.
Sciogliendo ogni nodo.
E lasciandomi annusare i solchi.
Senza timore.
E non mi accorsi del vento che mi accartocciava.
E mi sfogliava senza interesse.
Scorreva nei miei solchi.
E ricominciava.
Rigandomi gli stomi.
Non ci fu urto.
Ma solo i suoi effetti.
Ad occhi chiusi percepisco il mondo.
Ma solo a volte.
E se li apro è perchè ho smesso.
La notte disegna un cielo di stelle.
Un pò è pure mio.
E mi rassicura sapere che c'è.
Anche se non lo vedo.
Come se fosse tutto inutile.
Mentre è tutto assolutamente essenziale.
Raccoglimi e dammi un nuovo nome.
E' un gioco bellissimo.
La tenda del mio pudore.
Troppo vento.
Nessun cancello sa fermarlo.
Per caso ho attreversato la realtà. Ed il suo odore mi ha quasi spaventata. Il verde mi ha urlato contro tutta la fatica del vivere. Me la ha sbattuta in faccia. Prima di scivolare in un canale che si snodava come un serpente. E divideva la terra in due. Fino al profondo. E nel senso del profondo si diluisce tutta la voglia di leggerezza di cui siamo capaci. E inarrestabile scorre.
Apro gli occhi.
Tutte le ciglia al loro posto.
Posso rigare l'aria.
Aspetterò domani.
E' che la realtà è morbida e strana. Soffice come una torta. Dalle mille forme. E a volte diventano tentacoli. E a volte delusione. La ampolla dei sogni dilatati e bucati. Schizzano luci come bolle di sapone al patibolo. Ho il cuore che mi batte nella pancia. E la sua musica è tormento. Dammi la mano e ascolta. E' quasi affascinante. Seguire la musica che ti conduce al centro di me. Ma non lasciare la mano. Poi ti farà paura. Nel mio bosco nessuno ti restituirà la tua forma. E la mia mano ti eviterà di guardare ancora se non vorrai. Basterà lasciarla e io non sarò mai esistita. Sarò polvere di rose. Ricorderai solo il mio odore. Nessuno merita di soffrire. E se potessi riavvolgerei tutto il dolore. Tutto quello che posso aver provocato. Lo avvolgerei intorno al mio dito. Il rocchetto del non ritorno. Leccherei tutti gli sbagli che ho commesso. Per cancellare ogni traccia. Non chiedo perdono. Chiedo oblio. Più molle della realtà. Non è uno scambio. Io tengo il mio. Tutto quello che ho e ho avuto. E non baratto nulla. E' il prezzo della libertà. La mia. E lo farei non per allontanare il dolore che svolazza come uno sciame di api cieche e pazze. Ma per ritrovare i miei occhi nello specchio della mia anima.
Un giorno siamo fondo.
Un giorno cielo.
E tutto cambia e noi cambiamo tutto.
Dove è finito il vento?
Ha scompigliato i mie capelli ed è fuggito.
Io rispetto ogni nuova forma
che la vita mia ha disegnato
intorno.
Da lontano.
Ho perso il segno.
E mi tocca ricominciare a leggere.
"Non cambi mai. Sei una ladra di arance. Ma butti la corteccia. Ne potresti fare bracciali. E riempirci cuscini.".
Rubavo arance. E ne mordevo la buccia. Deliziandomi nell'amaro del loro sapore. Fino a schiacciarmelo sotto i denti. A comprimermi la loro malinconia arancio in corpo. E a farmi bruciare il palato. E il pendolo riempiva l'aria dell'odore di mia nonna. E le bucce sorridevano sui caloriferi. Prima di infestarci di tristezza la casa. Ma bastava la sua carezza. E il pettine tra i capelli. E il sorriso tornava. E se i capelli erano troppo corti. Bastava un bacio. E il suo profumo di cipria. E il mondo si dilatava in un abbraccio.
"Non cambi mai. Anche se sei cambiata. Hai gli occhi come specchi di tristezza. E ti cuci le lacrime addosso. Sembra neve. Sei una sputaneve. E continui a rubare arance. Non so neanche a chi. E dove tu le prenda le tue arance."
Qualcosa era cambiato. Non le rubavo più. A volte le elemosinavo. I palmi a fare da coppa al cielo. Gli schizzi dell'acqua. E tu mi osservavi divertito. Il mare in inverno. E senza arance. Solo una passione azzurra come un forcone nella pancia. E quell'odore nella mente.
"La tua pelle è come quella di una bimba".
Forse perchè ero una bimba. E la sua barba adulta contro il collo mi sembrava il solco provvido del contadino sulla terra. L'arancia divaricata in spicchi immemori. Niente più buccia. Persa in cambio della innocenza.
Non è cambiato nulla.
Anche se è cambiato tutto.
Tutto è cambiato.
Adesso pago le arance che compro.
E anche quelle che non compro.
Nulla mi fa più paura della dolcezza. Io l'ho incontrata e si è spogliata ed è diventata crudeltà. Con i denti fatti di parole. E ho iniziato a temerla. Ad osservarla come una rosa. Concentrandomi sul suo stelo. Quasi dimenticandomi dei petali. Del suo profumo. Della morbida eleganza della sua corolla. Del suo altero profilo.
Mi sono addormentata tra le spine.
E non so svegliarmi.
Acqua.
Morbida forma del cambiamento.
Senza pretese.
Nessun rimpianto.
Scorre e arriva ovunque.
Ma a me non arriva nulla.
Perchè io non ci sono.
Dove sono?
Mordevi il cuore.
Mentre eri convinto di mordermi la carne.
Mi hai scopato l'anima.
Credo possa bastare.
Dove sono?
Nessuna piuma ad incarmi la via.
Nella prossima vita voglio rinascere sincera.
Ogni volta mi ritrovo incastrata nel mio errore fatto di amore.
Anche adesso sta tremando sui polsi.
Mi lascio schizzare la pelle di brividi.
Fino a dimenticare il mio cuore.
"La bella lavanderina che lava i fazzoletti...".
E a volte l'attesa diventava lurido poi.
Basta chiudere gli occhi.
La pretesa macchiava i vetri della mia stanza. Fuori il mare sbranava la sabbia d'inverno e rubava terra agli agricoltori. L'odore del mare era aspro e selvaggio. Sembrava fatto di denti. E di proroghe inutili. E sul vapore della mia finestra scrivevo storie. E le cancellavo.
"Dai un bacio a chi vuoi tu..."
Cancellavo le mie impronte. E mi perdonavo. Di averti perdonato. E i tuoi baci sapevano di tradimento. E li stringevi al mio collo. E ti stringevi a me. Fino a rubarmi l'innocenza in un sorriso. Dimenticavo. Credevo. E questo significava solo che avrei conservato quella sensazione umida e appiccicosa. Donna a metà. Il resto è volato via. Mi piace pensare che sia diventata stella.
Ancora adesso se vedo vetri umidi
mi tremi dentro.
E devo spalancare le finestre.
Forse è da allora che ho imparato a non vergognarmi dell'amore.
E' la voce del fuoco che a volte mi parla dentro.
E mi costringe a tacere.
Non volevo nulla.
Non ho chiesto nulla.
Solo la verità.
E il fuoco me la ha data.
Prima di distruggerla.
Non ho equilibrio. Rido. Assolutamente scomposta. Rido ancora. Smorfie di sdegno. Spalanco gli occhietti. Inclino le ciglia per farci rimbalzare una lacrima. Esplode come un fuoco d'artificio. Alla festa del patrono. L'odore dello zucchero filato rovina lo sdegno.
Non ho equilibrio.
Mi fingo seria.
Occhi a gatta e bocca contratta.
Di notte mi manca la luce.
Di giorno mi manca il buio.
Devo assolutamente incastrarmi in un alba e un tramonto.
Sul loro bordo.
Nella tenerezza incerta ed inquieta del confine.
Ma non ci riesco.
Colpa del fuoco.
No.
Non ho equilibrio.
Ma è così bello lasciarsi pettinare dal vento.
Ma non smetto mai di smettere.
Non sento. Al centro di me un'arpa di carne sta rimestando pensieri e desideri e sogni. Una musica imperfetta. E meravigliosamente scomposta. Mi fa credere di essere vita. E mi spinge i battiti nel cuore.
Imperfetto cuore.
domenica 22 novembre 2009
Per questo fa paura.
Rosa è la verità.
Nella sua dilaniata innocenza.
Ho appena rubato un improbabile tramonto rosa. Macchiato di incertezza e di dolcezza. Fa male agli occhi. Come le parole che mi lisciano la mente e galleggiano in questa zuppa inconsistente. Rosa è il mio pensiero. E ruvide le spine. E non le evito. Mi aiuta a restare a galla. Il dolore. O forse solo malinconia assorta. E non sentire le mie tempie e il loro battito spingersi fino all'orecchio. E riempirlo.
Se non fosse delirio sarebbe orrore.
O solo eroica distrazione.
Incastrato al mio angolo rosa.
Se chiudo gli occhi un prato immenso mi sorride.
E io li tengo chiusi.
Perchè il prato è la mia pelle.
E sapere di aver saputo.
Senza prevedere.
Solo dare una parvenza.
Affondare nei passi l'assenza.
Sentirne il risucchio e il fendersi dell'acqua.
Ripulire ogni traccia del passaggio.
Fino ad annusare l'odore.
Si sorrise dentro.
E sentii calore.
Come sotto una coperta.
Sulla nuca contro il cuscino.
E tra le labbra contro un muro di respiro.
Abbiamo una luce dentro di noi.
E ci riscalda anche nel gelo.
Ci riempie di piccole fitte di calore.
Piccoli pizzichi di vita.
E le sbattiamo in faccia le palpebre.
Strappiamo le pupille.
E le nascondiamo nel buio.
In fondo la vita è un gioco tra luce e buio.
Ho afferrato un raggio e lo sto intrecciando alle dita.
Non so più spiegare.
Urlo al mondo cose senza senso.
Astratte.
E tengo i dettagli dentro.
Fa male.
Perchè spiegare è donare spigoli.
E' levigare l'identità.
E poi ti punge dentro
vedere i tuoi pezzetti
svolazzare.
Come coriadoli strappati.
Non ci sono colpe. Non ci sono verità. Non ci sono sconfitte. Non ci sono mancanze. Non c'è null'altro che pezzi che si incastrano.
O il tentativo di incastrare pezzi non incastrabili.
E non so se fa più male l'urto.
Lo stridore dell'incastro imperfetto.
O il restare mancante di una parte.
E tremo di lucida incoscienza.
E una pioggia di petali.
Nudi come parole.
Non c'era danza.
Solo pensiero.
E adesso sono scorsi trenta inverni.
Pregni e incostanti.
Non parlo per farmi capire.
Ma per non dire.
Non voglio che gli altri trovino le briciole delle mie mani di pane.
E della mia voglia di abbracci.
Di dolcezza cruda e sincera.
Se potessi parlerei con i fiori.
E' il silenzio il più bel fiore.
Hanno una immensa fame di aria.
Di aria morbida e sincera.
Come solo l'aria sa essere.
L'aria non mente.
Ho smesso di cercare le risposte negli oocchi degli altri.
E ho aperto i miei.
Ogni comodo segreto è stato avidamente deflorato.
Come se avessi ingoiato pietre.
Amo sentire le pietre.
La loro voce vergine.
Sono vergini con tante anime.
Ma una sola voce.
Amo cercarne le imperfezioni più intense.
Fatte di tempo.
La mia purezza fu un dono non richiesto.
Era nella mente.
La avevo spogliata di ogni difesa.
Sciogliendo ogni nodo.
E lasciandomi annusare i solchi.
Senza timore.
E non mi accorsi del vento che mi accartocciava.
E mi sfogliava senza interesse.
Scorreva nei miei solchi.
E ricominciava.
Rigandomi gli stomi.
Non ci fu urto.
Ma solo i suoi effetti.
Ad occhi chiusi percepisco il mondo.
Ma solo a volte.
E se li apro è perchè ho smesso.
La notte disegna un cielo di stelle.
Un pò è pure mio.
E mi rassicura sapere che c'è.
Anche se non lo vedo.
E' la stola con cui ricopro la mia nudità.
E non è la mia povertà.
Ma la mia unica ricchezza.
La mia pelle è la casa invisibile della mia anima.
Invisibile come me.
Sono una donna invisibile.
Con il cuore trasparente.
Nessuno lo vedo.
E non ne conosce le righe.
Non lascio traccia.
Ma ne conservo.
Tu non lo sai.
E ora che mi sono spaccata le ali
finalmente sento la terra sotto i piedi.
Le ho squarciate.
Perchè altro non so fare.
Distruggere mi fa pensare che un giorno
diventerò migliore.
Ma forse lo ero già.
E oggi è domani.
E di polvere e residui bellici scrivo pensieri.
Detriti organici della mia guerra fatta di carne.
E vita.
Perchè io ci rimetto pezzi.
Ogni volta.
E questa volta sto provando a trattenerli.
E sentirli miei finchè posso.
Perchè quando non ne riconoscerò l'odore
vorrà dire che sarò diversa.
Scrivo pensieri senza traccia.
Con una eco muta.
Ho un cuore invisibile e affamato.
Tu non lo sai.
E non sa resistere alle parole.
Lo puoi graffiare senza accorgertene.
Le mie dita di carne non riescono ad afferrarlo.
Ed è disperata la loro indegna presa.
Mi ritrovo farfalle furenti tra le mani.
E la mia bocca non sa leccare il suo sangue
immaginario
ed insolente.
Nessun volo.
Nessuna finzione.
Solo occhi smangiati dallo scorrere del giorno.
Con la luce che li percorre al contrario.
Ad inseguire il filo di un discorso.
E le parole mi tornano contro.
Tu non lo sai.
Come sono con gli altri.
Mentre con il fiato ti lascio ricamare il mio collo.
Ti svuoto la verità.
E mi riempio.
E ti lascio battere il cuore contro la mia schiena.
Fino a sentirlo mio.
Come se battesse al posto del mio cuore assente.
Non sai che so strisciare come una gatta affamata.
E contorcermi l'anima come se fosse un mantello.
Non lo sai che con te sono diversa.
Non lo sai.
E non lo devi sapere.
E devi pensarmi peggiore.
E' questo che voglio.
sabato 14 novembre 2009
Con i numeri.
Raffiche di numeri.
Appesi alle mie labbra.
Mi colano sulle dita.
Mi leccano il mento.
Mi graffiano la schiena.
E riempiono la pancia.
Come un bignè famelico.
Tutto confuso.
E questo rende tutto assolutamente esatto.
Dilatano il tratto che mi separa dalla fine.
Una fine qualsiasi.
Tra me e me.
Io sono la fine e l'inizio di me stessa.
Non è un proclama.
Una semilucida trasposizione.
Spezzare fili.
E non riuscire mai a disfarsene completamente.
Resta il segno.
Il mi minuscolo segmento scolpito sulla carne.
E a volte si spinge più giù.
Fino a farti sentire un canale.
Lanciavo numeri in un burrone.
Affinchè lo colmasse.
Lo soffocasse.
E riaffiorasse il bordo.
E mi aiutasse a perdermi.
Senza nessuna voglia di trovarmi.
Quella me avrebbe dovuto scomparire.
E anche altre.
E li contavo.
E me li ricontavo.
Numeri affamati di altri numeri.
Come una favola antica.
Senza fine.
Ho cosparso di numeri la mia mente.
E sto ancora contando.
Senza sosta.
Quello che temo sono le pause.
venerdì 13 novembre 2009
C'è un cielo avaro di stelle. Come se le avessero raschiate da là. E lasciate cadere alla rinfusa. Fino a capitombolare nella terra.
E ci illuminiamo di riflessi rubati.
E li intrecciamo alle immagini. Come più ci aggrada. E alla pallida parvenza dei sogni. Quasi si abbracciano. E si spingono le unghie nella carne. E riluciamo del fiato nascosto. Trattenuto e sputato. Evirato di rabbia e di orgoglio. E legato in vita. Come il cilicio di mille colpe da scontare. Da farti sollevare le spalle. E fregartene alla grande. E' tutto così irrilevante. La misura del mondo ha mani immense. E ali che devastano. Ansima a volte l'ansia nel mio petto. E mi riempie di crepe. Sembra non contenermi. E filtro e mi filtra. E quello che sono e non sono si mescolano. Fino a lasciarmi esangue. Mi illumino e mi spengo in un pensiero. Fatto di respiro e di muro. E di ellissi e di lana.E fili incastrati nel caos. Di un tutto che è morbido e dolce. Immensamente dolce. Dormo con le mani sotto il cuscino. Perchè nessuno deve toccarle. E' là che si annida il segreto. Il segreto di giorni appena fioriti come ciclamini. Il gelo sta arrivando. Mi immergo nella voglia di cancellare. Di voltare pagina. O forse solo di arrivare in fondo. Alla fine della storia. E cancellare le parole. E impedirgli di dare e trovare un senso. Le dita come avidi falchi hanno raccolto e devasto raccolto e percorso. E mi ritrovo sola. A tremare in questa pelle. E a farmi lisciare brividi dal caso. Il gelo è sempre più vicino. Ti lascio una rosa. O solo un petalo. O solo una spina. Quella che nessuno ha voluto. E un senso lo aveva. E' sul vetro che ho scritto il segreto. Quello con l'odore dell'ardore. E del peccato. Annusato migliaia di volte prima di essere fatto scorrere. E poi l'ho nascosto con il mio fiato. Quello rubato alle stelle. Ma il gelo ha incastrato anche quello in un quadro.
L'incoerenza è una dote che curo con devoto affetto.
In attesa che dia frutti.
C'è una strana luce. Un tramonto che urta dolcemente contro la notte. Le divarica le mani fino a dargli la forma di un abbraccio. Morbido. Spontaneo. E lo riempie di luce. Così immensa da far scomparire ogni limite. E il confine diventa dentro e poi oltre. E ripenso a tutte le volte che ho camminato per il mondo ignorando l'aria. E scansando la luce. E non ho guardato gli occhi di mio nonno. La carezza più dolce del mondo. Fatta di velluto scuro e pane profumato. Plasmata. Scorre come ricordo. E ogni volta diventa purissima nostaglia. E voglia di riavvolgere il tempo. Scorre. E si sedimenta. Nel cassetto del cuore. Dove ripongo le perle e i battiti che ho vissuto. Con la mente e con il cuore. E i pezzi di pelle che ho saputo conservare. Perchè conservare fa diventare per sempre. Non lo sapevi? La mia testa mi ha suggerito questo gioco. Superato l'istante del distacco. I margini della ferita come bordi di un lago che fagocita il tempo. Ho negato sorrisi. E non ho afferrato quelli che il mondo mi sbatteva addosso. Come se la gioia non fosse un diritto. Ho sempre scelto l'amore e sbattuto l'orgoglio al muro. E lui mi ha impresso l'ombra contro. E un pezzo in meno. Ogni volta. L'amore leviga ogni errore. Ne sono convinta e dilata il tempo. Basta che soffi.
Adesso è buio.
L'abbraccio si è dileguato nella notte.
Ma arriverà ancora la luce.
Se potessi strapperei la distanza tra il tempo e quel tempo.
Ma ho imparato che la superficie di un nuovo giorno
è un pianeta nuovo da scoprire.
Non ho più buoni sentimenti. Non li trovo. E non riesco a scuoterli alla finestra. Insieme al nuovo giorno. Come cuscini indolenti e bugiardi. Gonfi di abitudini. E lenzuola consumate dalla notte. Non ho più neve da accarezzare. Dove nascondere le ciglia. E guardare il cuore dal di dentro. Senza sentire dolore. Non ho seta sui gomiti. Per stringere intorno a me un pò di pudore.
E non ho più voglia.
Goccia.
E la voglia di avere voglia è piena di crepe.
E quello che cola è veleno per topi.
Non ho voce per sputare parole.
E sigilli per fermare il sangue.
Goccia.
Un'altra.
La bimba sta raccontando una storia alla femmina. Le fa le carezze e le ricopre il viso di baci. E' sempre lei. La madre di sua madre. E le struscia addosso sorrisi di velluto. La piccola è piena di forza. Come quella di uno stelo nella tempesta. E la femmina si assolge di quelle minuscole carezze di pesca. E ricuce le sue ferite. Vorrebbe donare al sonno la sua coscienza.
Non so quello che non ho.
Ma neppure quello che ho.
Oggi è davvero un giorno fragile.
Non ha forma la mia tristezza. Ha occhi rubati. Labbra corrucciate. E tanti nomi. A volte la chiamo amore. Un nome tremante. Per l'imbarazzo. O per la sua divisa stretta. E la chiamo poi immenso disordine. Ruota i fianchi senza guardarti. Altre piccolo fiore che urla. Dai petali rubati. O solo dimenticati tra qualche foglio. Senza odore. E colore. E' il nome che preferisco. Quasi pizzica il cuore. E' stata dimenticata come un inutile petalo. Strappato da una corolla angosciata ed orgogliosa. Dalla chioma spavalda. Seducente e morbida come una gonna che si avvolge dentro un perdono. E ammicca. Una parola masticata che ne insegue altre. Le imbavaglia. E si staglia tra cielo e terra. Pronunciata per rispetto. Per tremito. O per dovere. Stampigliata nel nulla come un purulento senso di colpa. Come uno sputo in pieno viso. La sagoma di vento e molliche a disegnare il profilo. La sagoma di parole dette e ritirate. Velocemente riavvolte contro il rocchetto della coscienza. Ancora stordite dalla ebrezza della loro forma. Dal profumo che hanno lasciato. E non si chiama scia. Ma rimedio. Ballano come barcarole alla deriva. E danno voce al buio. O rivestono di buio voci di luna. Di tante lune interrotte. E spaccate. Di lune mozzate. E ripiantate in cielo sconosciuti. Non più sinceri. La sincerità è stata avvolta di bisogno.
Ma non sono io.
Il petalo è la voce che mi vive e muore dentro.
E mi rinasce mille e una volta.
Ogni volta come se fosse la prima.
E ogni volta uccido.
Con la disperazione che affonda i denti nella mente.
Come se fosse l'ultima.
E resto carcassa delle mie paure febbricitanti.
Imbottite di gioia.
Pura ma effimera.
...
lunedì 9 novembre 2009
E ci scriviamo la vita addosso.
La mia pelle non è più un lenzuolo candido.
E il tempo ci ha striato contro le sue pretese.
La mia è incisa qua.
Sulle mie tempie.
E gioca con il mio battito.
Batte. Non batte. Batte. Batte. Non batte.
Quasi esplode.
Siamo oggetti di carne. In cui è rimasta incastrata una anima. Il contenitore del tempo che ci è dato. E a volte tenta di sfondarlo. Non è desiderio.
E' possibilità.
L'odore della pioggia si insinua nei pensieri e scivola guardingo tra le ciglia.
Ogni volta che chiudi gli occhi.
E ti tuffi indietro.
Quello che voglio è un istante immobile.
In cui lasciarsi infilarzare dalla luce.
E sentire tutto.
E sentire niente.
E poi è lo stesso involucro.
E dentro ci siamo noi.
Sto rimbombando dentro la mia testa. E la mia testa rimbomba dentro questa stanza. O forse altrove. E non ho cose sufficientemente esatte da dire. Potrei recitare numeri.
E sarà il tempo a rendere immobile questo momento.
Immobile e molle.
Vibriamo sospesi nelle risatine e nelle lacrime. Io ci vivo bene dentro la mia astrazione. Imperfetta ed inconcludente. Scorre intorno. Veloce come una matita intorno alle labbra. Ne segue prima il contorno. Lo definisce. E poi le colora. Dilata e colora avidamente. Ma a volte mi assale una voglia acre ed aspra di realtà. Scindo l'indifferenza per le cose in una miriade di utilità represse. Le trovo quasi interessanti. Talvolta importanti. E così immedesimandomi negli oggetti mi ritrovo come cosa vivente. Come cosa piena di sangue.
Dicono che si ami con il cuore.
Ma non è vero.
Si ama con tutto.
Con ogni parte.
E' per quello che il mio cuore precipita a picco nel mio ventre.
E la solitudine diventa solida.
Quasi una lama.
E lentamente fende.
La chiamano attesa.
Devo scrivere. E lo faccio. Per dimenticare ed accantonare. Il senso di errore. Di impudicizia. Vorrei violentare il tuo pudore. Scrivere è tuffarsi in un lago di oblio. Dalla realtà. Il tuo silenzio vibra di mille respiri. Vibra di sangue e di passione. Ne mordo un pezzetto. Lo trattengo tra le labbra. Così sei un pò mio. E io tua. Con pezzettini del tuo silenzio tra le labbra. Questo è l'ombra dell'appartanersi. Annegato nei sensi. Perchè se ti penso, dalle labbra mi coli a picco. Dentro. Come un antico galeone. La verità brucia ancora. E continuerà. E' uno spessore di ghiaccio. Incandescente. Nessun palliativo. Solo angoli di desiderio. Puro. E a volte impuro. Mi stai navigando ancora dentro. Sono il tuo mare.
Sembrava ieri ma era domani.
Tu dove eri?
Mi dormi sopra e non mi ascolti.
Dove si è perso il senso e la misura tra me e te?
Ti sussurro il mio bisogno ogni e ogni notte.
Lo soffio tra i tuoi occhi chiusi.
E le mie mani affondano nel tuo sonno.
Senza coraggio.
E forse senza viltà.
Ai margini. Nascoste dietro una tenda. Le mani si intrecciavano. Come spighe nel vento disperato. Strofinanandosi l'assenza contro. Fino a non sentirla. Sentivano solo la dimensione di mano. E le dita che si aprivano come fiori al mattino. Coppe di rugiada. A scavarsi d'ardore. Pudico. Le mani si osservavano. E osservavano il mondo. Sfiorandolo. In una rete di sogni. Leggera e morbida. E a dirlo già si fendeva. La trama cedeva al peso degli sguardi. Si sussurrava d'amore. Nel silenzio si sublimava la sua voglia. Mai vissuto. Fino in fondo. Libere di guardarsi tra le ciglia della notte. Le mani si dormivano addosso. Ed era semplice. Ma bellissimo. Da non volerlo lasciare finire mai.
Ho scavato in una terra dimenticata. E vi ho ritrovato pezzi del mio pudore perduto. Sminuzzato. Conservo pezzi di me. Per impedirmi di tornare a essere meno che quella. Un giro inutile. E si proclama l'ultimo. Mentre l'incanto e la meravigliosa stanno scorrendo altrove. E respirano forte. Da sembrare urla.
La testa fra le mani.
Una luna sporca.
Le tappo la bocca e poi la guardo.
Ha chiuso gli occhi.
E rotolano come due perle.
Destrutturata.
I pezzi alla rinfusa.
E i piedi nell'erba.
Gelida.
E gelidi affondano passi.
Taglia.
Che giorno è?
Avvolgo pensieri su pensieri.
Scalzi ma veloci.
La scia è di ghiaccio.
E di ghiaccio le ali di farfalle stanche.
E strati di coscienza indifferente.
Da nuotarci dentro.
Fino ad annegarci.
Ad un tratto il mare si era spento.
Non lo sapevo.
Cercavo le sue onde.
Per infilarci conchiglie pregne.
Le ha calpestate.
Non pulsa l'ira.
E io nemmeno.
Ho compreso.
Compreso fino a non capirci più nulla.
Ho solo voglia di dare calci al vento.
Dopo avergli raccontato.
Cristalli frantumati stanno tentando di luccicare.
E io racconto.
Ma gli hanno rubato la luce.
E lo imploro di ascoltarmi.
Ma lui è muto.
E ascoltare è inutile.
Se non fosse notte li scambierei per occhi.
Ma notte non è
e mi faccio cieca.
Basta una benda.
E qualche goccia di coraggio.
Annusi l'aria.
E sai che sta per piovere.
Ma continui a camminare.
Perchè ne hai voglia.
La pioggia non può che farti bene.
In fondo piove da millenni.
E ha già bagnato vite e vite prima.
Crediamo di provare i sentimenti più puri ed intensi del mondo.
Solo perchè il nostro mondo siamo noi.
Se solo riuscissimo a prestarci i mondi.
O forse solo gli occhi.
giovedì 5 novembre 2009
Ogni volta mi ritrovo incastrata nel mio errore fatto di amore.
Anche adesso sta tremando sui polsi.
Mi lascio schizzare la pelle di brividi.
Fino a dimenticare il mio cuore.
"La bella lavanderina che lava i fazzoletti...".
E a volte l'attesa diventava lurido poi.
Basta chiudere gli occhi.
La pretesa macchiava i vetri della mia stanza. Fuori il mare sbranava la sabbia d'inverno e rubava terra agli agricoltori. L'odore del mare era aspro e selvaggio. Sembrava fatto di denti. E di proroghe inutili. E sul vapore della mia finestra scrivevo storie. E le cancellavo.
"Dai un bacio a chi vuoi tu..."
Cancellavo le mie impronte. E mi perdonavo. Di averti perdonato. E i tuoi baci sapevano di tradimento. E li stringevi al mio collo. E ti stringevi a me. Fino a rubarmi l'innocenza in un sorriso. Dimenticavo. Credevo. E questo significava solo che avrei conservato quella sensazione umida e appiccicosa. Donna a metà. Il resto è volato via. Mi piace pensare che sia diventata stella.
Ancora adesso se vedo vetri umidi
mi tremi dentro.
E devo spalancare le finestre.
Forse è da allora che ho imparato a non vergognarmi dell'amore.
Io lo ricordo come attendevo le parole.
Il fiato si incastrava nel respiro e nell'istante.
In quello prima.
E in quello dopo sentivo caldo il cuore.
Una carezza liquida.
Fino alle viscere.
Qualcuno lo chiama delirio.
E si schiudeva in sorriso.
Fatto di porpora e giacinti.
Parole e luci.
Ami di dolcezza.
Strappavano il velo della realtà.
La realtà è la pelle del mondo.
Ho smesso di giocare a palla con il cuore.
L'ho lanciato lontano.
E dentro mi batte la sua eco.
Lurida e prepotente.
Ma fa tanta compagnia.
Tremava.
Imperfetto e fragile.
Con i contorni leggeri.
Con un mantello di aghi di pino.
E lacrime croccanti come il pane.
Ho vagato nei tuoi occhi.
Devota come una ancella.
Vedevo senza guardare.
E mi lasciavo scivolare dentro i tuoi battiti.
Perchè dentro di te io cercavo me.
Adesso mi lascio accarezzare dalla gioia. Quasi mi fa paura. Goccia dopo goccia. Amare richiede impegno. Non è abitudine. Bisogna rieducarsi alla gioia. Piccoli sorsi. Poco per volta. Tenerla addosso anche quando graffia come una gatta cieca. E respirarla come in un barattolo. Senza una forma.
E mentre ti parlavo mi sembrava di sfilarti la maglietta.
E che tu sfilassi la mia.
E che sopra di noi di fosse solo il cielo.
Nudi di fronte al cielo.
Ad annusare nuvole.
Con una fame immensa dentro.
Dentro di te non ho trovato me.
Io sono qua.
E sono mia.
martedì 3 novembre 2009
E' la voce del fuoco che a volte mi parla dentro.
E mi costringe a tacere.
Non volevo nulla.
Non ho chiesto nulla.
Solo la verità.
E il fuoco me la ha data.
Prima di distruggerla.
Non ho equilibrio. Rido. Assolutamente scomposta. Rido ancora. Smorfie di sdegno. Spalanco gli occhietti. Inclino le ciglia per farci rimbalzare una lacrima. Esplode come un fuoco d'artificio. Alla festa del patrono. L'odore dello zucchero filato rovina lo sdegno.
Non ho equilibrio.
Mi fingo seria.
Occhi a gatta e bocca contratta.
Di notte mi manca la luce.
Di giorno mi manca il buio.
Devo assolutamente incastrarmi in un alba e un tramonto.
Sul loro bordo.
Nella tenerezza incerta ed inquieta del confine.
Ma non ci riesco.
Colpa del fuoco.
No.
Non ho equilibrio.
Ma è così bello lasciarsi pettinare dal vento.
lunedì 2 novembre 2009
E la mia solitudine sempre più latente gocciola di futuro lontano.
Di attesa impiccata.
Come ogni notte impiccata dall'alba in divenire.
Non riesco a spiegarlo.
Tutto questo.
Come sempre.
sabato 31 ottobre 2009
Come se il grande tronco fosse là ad attenderci.
Per abbracciarci le mani.
Come edera selvaggia ed incolta.
E ricoprirci le dita di baci e dubbi.
Non era conferma. Me lo sono chiesto. Era la culla per le mie mani affamate. E i loro morsi di paura. Graffiavano contro muri di aria. E passione sotterranea. Adesso rapiscono istanti. E li seminano agli angoli della bocca. Seguendo il contorno delle mie labbra tremule.
Come sorpresa. E come desiderio. E desiderio della sorpresa. E sorpresa del desiderio. Dimenticato come una promessa. Nel sangue. Fino in fondo. Essere peggiori serve per essere migliori.
L'indecenza di un fiore che si schiude.
Timoroso della luce.
E il desiderio folle del tuo odore.
Nella mente.
Mille volte disegnato e cancellato.
E altre volte si chiuderà ancora.
Quel fiore.
E ogni volta sarà quella giusta.
Per riaprirsi.
Poi.
Nel posto riservatoci dal tempo.
Siamo collane di respiri.
In sequela.
Questo è il primo.
Ascoltalo fino in fondo.
Ti penso e ti penso di stelle.
Fino a non poterne più.
E a sentirti terra possente e profumata.
Bagnata da un pioggia segreta nella notte.
L'orgasmo del mondo.
Il segreto più bello.
E sconcio.
Puro come il peccato sincero.
Se ti mentissi ora sarebbe per amore.
....
C'era la notte e io con lei.
Vorrei spiegare quello che si prova.
Ci ho provato tante volte.
A rivestirmi di coraggio.
In un barattolo fatto di notte.
A scrutarmi il cuore.
Il tuo grido scrive una storia di fiato.
Soffiato contro il vetro freddo.
Non si può capire.
E se lo spiegano gli altri si spaventano.
Una storia silenziosa.
Come le lacrime che non puoi permetterti.
Fiumi guardinghi impregnati di rimmel.
Dagli occhi al mento.
I tuoi occhi scrutano tra la mia carne. E si chiudono davanti al peccato. Serri le palpebre. Mentre io vorrei spalancarli e condurli dentro di me. Affinchè tutto veda tutto. Vorrei infilarmi i tuoi occhi nel cuore. E farti vedere che a volte posso essere diversa. E il mio tormento ha un odore di mughetti e di stelle. Si è diluito con il cielo.
Anche se macchia i passi verso la luce.
E la rifugge.
Ho dei sorrisi conservati e dimenticati.
E uno è per te.
Solo per te.
Spesso le mie dita ti cercano.
E se mi perdo nei petali di un fiore e ne contemplo la bellezza. La trattengo dentro. E spero che tu stia bene. E che possa sentire la semplicità e bellezza di quel fiore.
mercoledì 28 ottobre 2009
Distante. E osservo il mondo. E la distanza incalza il respiro. E il respiro segna la distanza. E precede il pensiero. osservo e percorro. Con gli occhi chiusi. Lo guardo dentro di me. E gli dò la mia forma. E' per questo che sprofondo in sogni e deliri. E tormento il mio cuore. Per dargli la forma giusta.
Ho perso tutto.
Anche il mio respiro.
E lo ricostruisco.
Questa volta non per tenerlo stretto.
Ma per lasciarlo volare il più lontano possibile.
E forse per possederlo realmente.
Ostento sempre una forza che non ho.
E una fragilità che ne è lo specchietto.
E le tante me che mi percuotono si ribaltano le une sulle altre.
Distante.
Ho smesso di osservare il mondo.
E ho iniziato a toccarlo.
Ero incompleta.
Mi mancava questo pezzo di dolore.
E quando lo avrò tenuto dentro senza dimenarmi sino a farlo arrivare ovunque,
avrò vinto senza aver combattuto.
E il mio respiro sarà tornato al posto giusto.
Nel sole.
lunedì 26 ottobre 2009
Affinché il nuovo giorno lo potesse ritrovare intatto.
Al suo posto.
E la stella potesse portare un pezzo di cielo.
A te.
Un pezzetto di cielo solo per te.
Senza più nuvole.
Chi non arriva alla nostra pelle è destinato a scorrerci nel sangue.
E a perdersi dentro di noi.
Forse un giorno ci ritroveremo.
Auguri.
A modo mio.
Cancellare e cancellarsi.
Una aspirazione al bianco.
Nel tunnel della purezza rinnegata.
Quella che strappa il sangue direttamente al cuore.
Fino a farlo diventare violaceo.
Ali di farfalle dimenticate.
A rovistare polline immaginario.
Cancellare.
E non è dimenticare.
Solo strappare e sminuzzare.
Emozioni.
Renderle polvere e cipria.
Erba.
E senso della terra.
Diamo il potere agli istanti.
E sono già scorsi.
Non hanno potere.
Sono gigantografie delle ombre che scorrono dentro.
Destinate a sbriciolarsi al primo sole.
Basterebbe guardare in faccia il mondo.
E smetterlo di inseguirlo.
Tanto gira lo stesso.
E' quello che ci consente di creare spazio.
Nel gioco perfido della comprensione degli altri.
Perdiamo pezzi di noi.
E ne troviamo altri.
Inaspettati.
Amebe di periferie.
Spiaccichiamo l'anima contro il vetro. Per vedere e lasciar vedere cosa ci sia dentro. Le sue rughe. I suoi nei. Le sue pieghe. E le sue piaghe. E chiamiamo questo esame con un nome banale. Comprensione. Glielo urliamo nelle orecchie. Mentre è solo egoismo. E pretesa purolenta. La pretesa della comprensione impicca ogni condivisione.
Chi ha voglia di capire. Lo fa a occhi chiusi. Rubandoti il respiro nel modo più dolce. E respirandoti dentro. Senza chiedere nè rispondere. Perchè ha scelto il silenzio. Quello vero perchè è sincero.
Non ho più voglia di spiegare.
Vorrei solo essere conservata come una foglia.
Tra le pagine di un libro.
In attesa di essere letto.
E forse mischiarmi alle sue parole.
Se chiudo gli occhi sento il suo odore sconosciuto e lontano.
Come se quella voce lo avesse sparso sul mio petto.
Quasi un assedio del cuore.
Del pezzetto che resta asciutto.
E non è terra.
E' cielo.
La voce della pioggia riempie di voce le cose.
Anche quelle dimenticate.
Basta riaprire gli occhi.
E buttare l'ombrello.
La voglia di dimostrare che le regole non servono.
E non aveva paura.
Neanche di una severità tutta annunciata.
E' questa l'unica regola.
Nel momento della separazione ci ritroviamo in ogni pezzo.
Anche quello dimenticato.
E che non ha mai smesso di parlarci.
E' che ascoltarla richiede tanta luce.
E io sono nella mia tana.
A immaginarla.
Ho fame di rugiada.
Disegna sulle mie braccia le catene.
Fino a confondersi con le mie vene.
Una foglia.
Ricomprende e stritola la mia incertezza.
E non posso che mordere la mia gabbia verde.
Per assaporarne la pena.
E dimenticare il tormento.
E' nei miei occhi che avresti stanato la mia vera voce.
La casa della mia anima.
Il suo involucro.
Guardami.
Sto urlando.
Ma tu non puoi sentirmi.
Raggi di una bicicletta da rottamare. Correvo a perdifianto lungo il margine. Ignara della linea di mezzeria. Contemplavo il canale. Cadere sarebbe stato più divertente che continuare a correre. E sentirsi le zanzare sul collo. A leccarmi il sangue. Il premio in palio era me stessa. E a quei tempi sentivo di possedermi. Fino allo sfinimento. L'erba mi tagliava le caviglie. E mi percepivo donna. Sarebbe durato ancora poco.
Segreti di cielo e di terra. Pulsano e spargono e cospargono dell'odore della notte e della memoria. Ci sono urti che ti spingono oltre te stessa.
A volte le chiamiamo scelte.
Altre, voglie disperate.
Fino all'ultimo respiro.
Come se fossero un dono.
Mai scartato.
E non comprendi.
E pensi che togliendoti la pelle troverai la risposta.
E senza una logica continui a cercarti.
A comporti e scomporti.
A tagliarti.
E medicarti.
A mendicare.
Come un libro di cui hai perso pagine.
E ti ritrovi con le righe perplesse.
E la risposta è nelle tue mani.
Nel percorso silenzioso che disegnano.
Andata e ritorno dal cuore.
E dita come radici.
A nascondere una promessa.
"Per sempre" ha l'odore della malinconia.
Basta spalancare la finestra.
Senza avere paura che possa entrare tutto l'inverno possibile.
Quel gelo che non può distruggere.
Solo immobilizzare.
E vestire tutto di attesa.
Oggi mi aspetto al varco.
E sono già in ritardo.
mercoledì 14 ottobre 2009
Riaffiora la nuvola e si stempera in polvere di fuoco. In frange e fremiti. E le respiri. Solo quelle. E il resto si blocca. Lo sfondo è l'assoluto nulla e la voglia di lasciare un segno. Stemperato in inutilità. Il sangue infetto di un fiume ignoto che ti ha contaminata. E' un serpente di delirio. Inutile come una corda senza nodo. Penso ad un canto muto. E alla bellezza che lascia scivolare dentro. Fino ad urtarti contro le pupille. Per bucare uno spazio sull'esterno. Siamo il guscio del nostro canto muto. Siamo campane dai rintocchi implosi. E per quello a volte tremiamo. E i brividi ci adornano la pelle.
Fino all'anima.
Un viaggio senza ritorno.
Rossa è la nuvola.
.....
Sassolino su sassolino. Una pila che non arriverà mai al cielo. Senza saperlo. Una pila mozzata. Si piega in tentativi. Ondeggia e ruba morbida precarietà all'aria. Una carezza leggera. Oscilla e si cosparge di percezioni. Poi dimenticate. Nell'urto del cuore duro da sassolino. Nel rimbalzare e leccarsi le schegge. Nel raccoglierle e lanciarle in aria. E nel segno dolce e silente della sua traccia. Orma. Viviseziono passi. Strani di tracce. Per non dargli direzione. Parole e sassi. Segni. Colano a picco. Immersi dentro paludi sghignazzanti. A caccia di baci. Tra i fili di erba. Contro la luce. Nel profondo. Nella coperta della coscienza. Rimbombano le parole. E i sassi vibrano. Come se volessero oltrepassare la pelle.
Basterebbe solo assecondare il corso.
E ritrovarsi tra le mani.
Incastrati alle dita.
Dove ci siamo dimenticati.
Oltre le vene.
Annodati.
Pezzi smussati di domani.
Dell'ignoto che rimbalza negli occhi.
A caccia di rifugio.
E chiudo gli occhi.
Per consentirgli di arrivare lontano.
E raggiungere l'ombra che dentro di me
schizza come un
mare gonfio di onde.
Ho un nuovo nome.
E mordo pomodori.
Come se fossero cuori.
E io il loro sangue.
Ho smesso di comprendere il passato.
E succhio la buccia per annusare la polpa.
Forse questo dà un senso.
Se un senso c'è.
E' domani.
Sassolino su sassolino. Una pila che non arriverà mai al cielo. Ondeggia e ruba morbida precarietà all'aria. Oscillando e cospargendosi di percezioni. Poi dimenticate. Nell'urto del suo cuore duro di sassolino. E nel segno dolce e silente della sua traccia. Orma. Viviseziono passi. Per non dargli direzione. Parole e sassi. A picco. Immersi dentro paludi sghignazzanti. A caccia di baci. Tra i fili di erba. Contro la luce. Nel profondo. Nella coperta della coscienza. volte rimbombano le parole. E i sassi vibrano. Come se volessero oltrepassare la pelle.
Basterebbe solo assecondare il corso.
E ritrovarsi tra le mani.
Oltre le vene.
Pezzi smussati di domani.
Dell'ignoto che rimbalza negli occhi.
A caccia di rifugio.
E chiudo gli occhi.
Per consentirgli di arrivare lontano.
E raggiungere l'ombra che dentro di me schizza come un
mare gonfio di onde.
Ho un nuovo nome.
E mordo pomodori.
Come se fossero cuori.
E io il loro sangue.
Ho smesso di comprendere il passato.
E succhio la buccia per annusare la polpa.
E' domani.
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Vivo di stasi e stati. E scosse. La luce mi ha puntato un raggio sul mento. Appena sotto il labbro inferiore. Sulla piccola piega che lo tormenta. Fino al petto. E al cuore. Per sondare. Un faro stanco. E cercare l'errore. Nel filtro della coscienza. E le sue maglie bisunte. Le ginocchia hanno facillato. I tacchi hanno segnato una linea netta. Un piede davanti all'altro. Sembrava sicumera. Era speranza. Nella musica morbida come una torta alla panna. E i gomiti si sono spinti verso il passato. A graffiarlo. E ad allontanarlo. Lasciando solo che le mani riuscissero a rubare qualche scorcio. E in angoli mi adagio per respirare. In una pentola cucino la pozione magica. E spingo le terga contro muri di veline e polvere. E cipria. Ci immergo il collo contro. Perchè oggi è domani. Quello che attendevo. E ho paura a dargli un nome. E a spiegare la strada per raggiungermi. Oggi è un domani con una lama che fende il tempo e lo cadenza come un metronomo. E mi segna la sagoma. Lama contro carne. Pelle contro battiti. Fino a riempirmi di brividi e di domande. Le risposte sono nella tasca del tempo.Insieme a due stelle rubate al cielo. Adesso è cieco. Erano i suoi occhi.
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Spengo il mio io. Lo sbriciolo. Ha tentacoli di pane. E lo accarezzo per rassicuralrlo. E per dominarlo. Poi lo pianto in un prato. E sulle sue labbra sussurro baci. Maldestra ed affamata li striscio sul suo cuore. Tondo e piroettante. Sembra non fermarsi mai. Ribalta la sua paura. E si rigira. E di quella resta un'ombra che secerne eco. Forse ha una voce. Come se fosse un seme. Destinato a sciorinare la sua chioma selavggia di albero timido sotto terra. E a intrecciare all'aria le sue radici invisibili. Quasi infide. Culla di sensazioni e di occasioni. Capovolta la mia mente. Si crede gamba. Rotea la caviglia che poi è mia e solo mia. E accavalla i pensieri. Dentro il fumo di una sigaretta. Quella sbagliata. E i miei occhi riflettono la terra che giace. Dentro me. Nel centro. Al centro. Zolle di terre innaffiate da nuvole dispettose. Ma preziosissime ladre di cielo. Inaspettate e discrete. Ho conservato solo una lacrima. Una sola. Come una gemma. Le altre le ho donate al poi. Per tempestarlo. E la custodisco come se fosse un frammento di stella frantumata. La reliquia di un miracolo mai consumato. Mentre è solo un furto di rugiada al nuovo giorno. Quanto disordine tra i pensieri. Spingono folate di silenzio. Inutilmente. Solo scompiglio. E lettere su fogli assolutamente consumati. E sottili come ostie e come significati. Quasi compresi. Il mio io sbadiglia. Il suo letargo langue. E nei miei occhi c'è ancora terra. E fame.