Mi sono svegliata nel bel mezzo di una primavera indesiderata. Timidi virgulti persi nella danza di un sole sfacciato e bugiardo. Mente per sicumera. Mente tra i raggi che gli fanno il solletico. Mente e mi scioglie l'inverno che ho tra le ossa. E io scorro dentro. E sorrido fuori. Sembrerebbe il pianto del risveglio. Di un sonno interrotto. Cantavo sempre la ninna nanna alla bimba che mi dormiva dentro. Ma lei mi spalancava gli occhi sul cuore e mi ricordava che voleva fiabe. E mi mordeva l'anima. Lentamente. Io mi spingevo con la mia voce a farle le carezze. E a slentare i fili di una solitudine incipiente. Annunciata. A farsi capanna sotto il caschetto biondo. Tra le ciglia inaspettatamente nere. Ibrida. Come la diversità che le ha rivestito il cuore. Strato per strato. Ibrida come l'assenza di coraggio di ammetterla. Galleggiava nella notte e si scopriva. Per osservare il freddo. Anche quando lasciò scivolare il piede sotto la sedia. Per contemplare il dolore. E segnarselo sulla carne. Era una sfida. Era una seduzione quasi ipnotica.
La voglia di dimostrare che le regole non servono.
E non aveva paura.
Neanche di una severità tutta annunciata.
E' questa l'unica regola.
Nel momento della separazione ci ritroviamo in ogni pezzo.
Anche quello dimenticato.
E che non ha mai smesso di parlarci.
E' che ascoltarla richiede tanta luce.
E io sono nella mia tana.
A immaginarla.
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