E il vento ha rovistato tra le parole. Prima di strapparle. Per farne collane. Le ha accartocciate. E divorate. Foglie di un autunno feroce. Nel vortice della incomprensione. Come ali di farfalle immaginarie. Graffiavano il cielo di mille colori. Sconosciuti e sinceri. Sibili di ignoto. Dal fascino magnetico. Quasi crudele. Nella rete del bisogno. Annuso ancora le loro sfumature.
Raggi di una bicicletta da rottamare. Correvo a perdifianto lungo il margine. Ignara della linea di mezzeria. Contemplavo il canale. Cadere sarebbe stato più divertente che continuare a correre. E sentirsi le zanzare sul collo. A leccarmi il sangue. Il premio in palio era me stessa. E a quei tempi sentivo di possedermi. Fino allo sfinimento. L'erba mi tagliava le caviglie. E mi percepivo donna. Sarebbe durato ancora poco.
Segreti di cielo e di terra. Pulsano e spargono e cospargono dell'odore della notte e della memoria. Ci sono urti che ti spingono oltre te stessa.
A volte le chiamiamo scelte.
Altre, voglie disperate.
Fino all'ultimo respiro.
Come se fossero un dono.
Mai scartato.
E non comprendi.
E pensi che togliendoti la pelle troverai la risposta.
E senza una logica continui a cercarti.
A comporti e scomporti.
A tagliarti.
E medicarti.
A mendicare.
Come un libro di cui hai perso pagine.
E ti ritrovi con le righe perplesse.
E la risposta è nelle tue mani.
Nel percorso silenzioso che disegnano.
Andata e ritorno dal cuore.
E dita come radici.
A nascondere una promessa.
"Per sempre" ha l'odore della malinconia.
Basta spalancare la finestra.
Senza avere paura che possa entrare tutto l'inverno possibile.
Quel gelo che non può distruggere.
Solo immobilizzare.
E vestire tutto di attesa.
Oggi mi aspetto al varco.
E sono già in ritardo.
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