A volte mi ritrovo immersa in una solitudine diversa. La diversità mi ha sempre stupita ed incatenata. Come nel mare,
quando tutto abbraccia. Senti la luce sulla schiena e mentre riaffiori
scintilla e si infila tra le onde, sulla fronte, sulle gote, sulle
labbra, con una ignara promessa di precarietà. Sogni di sabbia che
graffiano mentre scompaiono e si dissolvono al primo tiepido e fervente
buio. Ti insegnano che devi diffidare degli sconosciuti, ma vuoi mettere
il brivido di infilarti nell’ignoto? Pensavo che le assenze rimbombano
forte quando è tutto vuoto, e circolano, come figlie del vento e scie
lungimiranti del suo soffio, in cerchi selvaggi. Fagocita il mio dolore
stupido ogni traccia di sorriso, e io non lo voglio, non lo voglio più,
e come goccia di mora impudica ed invereconda scivola distratta dalle
labbra e io non esisto, oltre quella riga. Eppure ti spiegherei se fosse
utile. Ma forse non ci sei più vento caro e sei già andato oltre, e il
bordo segna la distanza, quando è intollerabile. Ed è diversa questa
solitudine pregna nel ventre fecondo di una luna, mentre mi raggiungo e
poi precipito. I grilli si mescolano al mio fiato e nelle pagine nuove
da scrivere io scivolo silenziosa. Leviga il tocco la carta e mi seduce.
Quando taccio, sono pericolosa.
Perché il silenzio rende tutto meravigliosamente possibile.
E come una virgola indecente, segno senza spezzare.
Forse il pane di mille lune segrete.
Non fermarmi.
Alcuni pezzi di passato non mi spaventano da quando ti ho infilato nella memoria del cuore.
Alcuni posti mi parleranno sempre di te, anche se in sordina, con toni sempre più sfumati.
Ma mai esserne sicuri.
Perché prima o poi il cuore esige la sua parte indietro