Non sono goccioline, sono rose. No, nessuna lacrima, ho occhi
asciutti e sinceri, in questo cielo grigio e pregno, come la solitudine.
Quella è la condizione che ci avvicina più pericolosamente ai nostri
sogni. Napoli, punto e a capo. Una città che è un punto e poi un altro e
poi una virgola, ed intarsi i giorni strani che io vivo. E poi un
respiro. Prima di precipitare ancora nelle emozioni. E nella presenza
più o meno profonda di me stessa. Noi, in genere, siamo i posti che
viviamo. Ma a volte quei posti diventano un poco di noi. Io non ho mai
la misura di quello che è il bene ed il male, ed esagero, faccio incetta
di pensieri. E spesso sono di carne. E mi limito a vivere, a respirare,
a respirarmi più a fondo che si può. Anche quando non dovrei. Anche
dove non dovrei. Io sento. Non è bellissima questa parola? Sentire. La
lasci scivolare sotto la lingua. E neanche deglutisci. Non subito,
almeno. Finché ti brucia sotto il palato. Finché ti perdi nella apnea.
Anche quando sai che fa male, a te ed agli altri. Anche quando in fondo
al tunnel di quel respiro non c’è nulla, o nulla di buono. O
semplicemente un candido niente. E le parole sono nuvolette. E per un
istante senti la mente tra quelle nuvole.
Proprio quelle che
sento da qualche tempo.
Io lo dico sempre che sono una nuvola sbagliata, con tanto sangue,
troppo, tanto da dover piovere rosso. O solo limitarmi a piangere quando
serve. Ma non serve. E stringo i denti. A volte sorrido, con tutto
l’egoismo di cui sono fatta. Per quello poi sento il bisogno,
all’improvviso, come in un vicolo, dentro e madido di vita, di questa
città, di chiedere scusa, di posare il mio bacio, come il più sincero
dei perdoni e di svoltare l’angolo. Tra le urla della gente. Santi e
peccatori. Pietre e aria pregnata di salsedine. Sì. Mi dispiace, perché
una nuvola sa solo sporcare il cielo e non trovo la forza per soffiare,
soffiarla lontano. Lontanissimo, oltre i miei sogni. In fondo una donna
sincera è affascinante come una mutanda a vita alta. E corro il rischio,
poi mi spoglierò e sarò ancora nuda davanti a me stessa. Meglio il
mistero, come un guanto che fascia la mano. Quali carezze potrebbe
nascondere? Quanti baci su quelle dita? Il senso dell’indefinito ricopre
tutto di una luce intrigante e le cose sembrano allungarsi, dilatarsi
come ombre. Oggi sono come questi tacchi sulle pietrine di Napoli che
lastricano la strada, in precario equilibrio. E a volte oscillare ti
spaventa, mentre altre ti fa sentire così viva, inaspettatamente donna.
Sono così diversa da non sapere neanche cosa effettivamente sia
cambiato. So solo che si impara in fretta dalla vita, anche quando ti
sembra troppo tardi.
Piovono rose, con tutte le loro spine, ma è bello…bello assai….anzi di più.