Pochi segreti, alcuni speciali. Parete indaco e soffitto luna notte. Lei è gelosa della sua intimità, piccola gobba di un cammello. E nella cruna dell’ago, un filo, un altro pezzetto. E ricuce la vita, distratta e malinconica, ora. E a volte impudica mentre ride, ride, e sorride. La bellezza resta bellezza, comunque e sempre. E quella fragile intimità la srotola dal nastro di tulle che ripone, con cura, al riparo da occhi indiscreti, sotto il materasso. Pochi respiri intatti, alcuni rotti dalla paura, una delle sue, improvvise come un tuffo, di quelle che inaspettatamente strofinano il soffitto, nelle sue notti. Già le sue notti, nella sua stanza segreta. Lei dorme su quei sussurri e su quei bisbigli adagia la schiena, fino a sentire i baci del destino sulle sue vertebre. Fino alla nuca. Prima di piegare il capo sui sogni,e ribaltarsi. E tiene a fondo, a ridosso delle vene e del respiro, tutto quello che conta, per portarci soffiare quando capita. Un urlo, per potersi ricordare di lei, oltre la misura di ogni assenza. Lei graffia, come una gatta impaurita. Perché la vita, quella di lei, le ha insegnato a fidarsi poco e male, molto male. La stanza, quella stanza ha una chiave sola, minuscola e nera. Ed i minuti si addossano ai minuti, senza mescolarsi. Come piccoli soldatini di uno squadrone. Ognuno ha la sua misura, anche se inesatta. Qualcuno potrebbe ricordare un istante durato una notte. E dei giorni più celeri di altri. Ed altri terribilmente lenti, e gonfi di solitudine.
La stanza di lei…
si macchia di passi ignoti.
Senza direzione.
Lei sa.
Sente.
Prima.
Sente sempre, anche quando non vuole ammetterlo.
Ma non si ferma e si imbratta di quei passi.
Perché sanno di vita.
E lei ne ha una fame, incredibile.
In quel delirio c’è proprio lei, che scorre senza limiti.
Feroce come un fiume che vuole solo la sua foce.
Il resto non conta.
Non più.
Ora non è più adesso.
Almeno non quello.