lunedì 24 agosto 2009

Avevo treccine immaginarie. Io sempre con i capelli cortissimi. Una specie di pulcino umano. Senza riparo alcuno per gli occhi. L'unico riparo era la possibilità di chiuderli.E toccare il mondo con le mie ciglia. Mi intrecciavo i capelli e li mischiavo a tutti i fiori di campo che non avevo mai raccolto. Li avevo solo disegnati. Nella mia lavagna fatta di cielo e nuvole. E li lasciavo librare nel sole. Sulla rena nera. Unica realtà. Bruciava.
Le mie tempie sono lisce ora. Sembrano un mare calmo. Quasi fermo. E sciolgo ogni treccina immaginaria. E nelle ciocche mi ritrovo. Spazzolo i miei capelli. Sotto la luna. Nessuna treccia. Mai più. Solo un cuscino da condividere. E lasciare una traccia ad ogni risveglio. Una qualsiasi. Fosse pure il mio odore.
Ci fu un dono tanto tempo fa.
Un dono quasi ridicolo.
Incomprensibile.
Prezioso ma ridicolo.
E assolutamente inutile.
Non che i doni abbiamo una utilità.
Ma donare arricchisce.
Quel dono è stato un amputare i miei rami.
Restare tronco con il frutto a terra.
Violare un intimità fatta di tempo.
Sembrava un dono secreto dal bosco dei miei sogni.
E lo offrii con le manine timide e le treccioline ordinate.
Con le labbra protese in cerca di amore.
Non ho mai amato gli oggetti.
Regalo le cose solo se hanno un significato.
E degli oggetti mi importa poco.
Nulla.
Ma al posto di quel dono c'è una macchia di sangue.
E nessun necromante potrà comprenderla.
Nè osare.
Spazzolo e rispazzolo i miei capelli.
E mi infilo nel mio letto.
Tra le lenzuola complici.
Di una macchia cancellata.
Riempita di vita.
E nessun altro oggetto.
Come un foro sul passato.
E mi rigiro nel mio letto.
Come una spada nel suo fodero.
Attenta a non tagliare nulla.
Quel dono ha lasciato tanto spazio.
Mentre mi strappava.
Da riempire di futuro.

venerdì 21 agosto 2009

Dentro di me scorrono fiumi sconosciuti. E non so fermarli. Sono fiumi muti. Mi limito a sentirne il corso. Scavano. Dentro. Li sento. Rannicchiata in tenero ascolto della mia paura. La ascolto aprirsi come un ventaglio. E farsi futuro. Come dita di una mano. A scavarmi. E a volte frantumarsi. In aspettative. O pretese. Fuochi fatui sulla riva. Tristezza e disperazione. Scivolano nella malinconia. Fino al dolce sorriso. A forma di speranza. Di occhi e verità. Di pupille come laghi. E acque di fiumi sconosciuti. A ricamarmi le viscere. Come il mare ricama la riva di conchiglie. Sono i segni del suo amore. Dormo tra sponde sconosciute. Tra le pagine di un libro immenso. Avvolta da parole. Con le dita a premere sillabe. Per percepirne la loro densità. O solo il languido fruscio. Un sonno coperto da parole e mare.
Ma le parole sono lievi.
Effimere come una carezza pensata.
Sfiorata sulla mente.
Mai entrata dentro.
Rimasta su un uscio socchiuso.
E sempre richiuso.
Era il mio respiro. Lo hai scambiato per il vento. In un silenzio pieno di fatti. E di pochi gesti. Era il mio respiro ripiegato nel tentativo. E là rimasto a contorcersi. Senza toccarti. Umile con la povera forza di un soffio. Senza nessun segno.
Oggi la dignità mi sembra fiducia.
E la fiducia forza.
Non ho voglia di capire.
E ogni volta affido la mia carne a mani sconosciute.
A farle da letto.
Nessun graffio può lasciare segni alla mia anima.
E' in fondo al mare.

lunedì 17 agosto 2009

Voglia di margherite e di candore. Una volta annusai il sangue di una margherita. O forse era il suo pianto. E' lo stesso. Quando si soffre è come se il dolore si sostinuisca al sangue. E' l'unica linfa che ci scorre dentro. Fino a comprendere. E' la comprensione che ci restituisce il sangue. Affondai le mani dentro il sangue di quella margherita. E lei mi donò il suo segreto. Allora non avevo segreti. E per ricambiare le donai una promessa. La strappai dalla mia cintola. E le asciugai le lacrime. Quella promessa mi punge il cuore. La ricordo ogni volta che incontro petali. E mi strofinano il grembo. Una promessa violata. Fatta di parole e di occhi. Inutile come una lacrima. E di una notte insonne. Voglia di margherite. Di abbracciarne la corolla. Una volta ancora. Di brillare come mai. In una luce sconosciuta. Astratta. Darle un nome. Lisciarne i contorni. Come se fossi petalo. Fino a restare senza forze. Danza. La mente danza. Su prati sconfinati. Fino ad avere il fiatone. E nascondersi nel bosco della confidenza. Il vento mi è amico. Mi nasconde con sè. Dentro il suo urlo. E mi fa tremare. Vorrei le sue carezze. A rassicurarmi. E le sue mani a proteggermi. E a rassicurarmi ancora. A spalare la neve che c'è sul mio cuore. Fino a non essere. E perdermi. E impedirmi di trovarmi.
Oggi, caro vento vorrei piangerti tra le mani.
Per l'ultima volta.
E mescolare lacrime con i tuoi sussulti.
E la luce.
Come se fossero perle.
Per poi spegnermi in un languido buio.
Da incognita spalo neve. Ancora a caccia di margherite. E del loro nome.
E di una promessa incompiuta.
E li vedevi immergere nell'acqua la loro gioia. E schizzarsela addosso. E contro. la gioia intorno. E l'innocenza feroce. Ognuno abbandonava nelle grida e nel vento le proprie paure di bambini. E si affidava al vento. Danza. E la libertà si disegnava nella loro corsa verso il mare. Fino a fartene percepire l'odore. La tenera fragranza. E a volte la sua furia. Come se scavalcare l'onda fosse la missione della loro vita. E non di quell'istante. E forse è così. Amore è libertà. Lo urlava un volo perplesso di gabbiani. Con una direzione incerta. Ed ogni fremito della terra. E mi ritrovavo ad afferrare l'onda. E a lasciarmi schiaffeggiare dalla sua cresta. Una bimba disegnata con inchiostro invisibile. Tra la spiaggia e la riva. Fino all'onda. L'abbraccio del mare.
Quando osserviamo i bambini osserviamo il futuro.
Ed è per questo che non riusciamo ad impedirci di sorridere.
Libertà.
Una parola che ha un mondo nella pancia.
Libertà.
La casa dell'amore.
Io non so amare.

mercoledì 12 agosto 2009

Soffio zucchero a velo e ricopro il mio cielo di cartone di stelle odorose. L'odore delle stelle puoi solo immaginarlo. E il confine tra la realtà, la non realtà e la finzione si strusciano. Fino a farsi sanguinare i margini. Sono bordi fatti di raso. Scivolano. Inutili i tentativi di farli combaciare. Come accuse infondate. Sono le sagome di ogni paura mai risolta. E spesso la paura di soffrire è più forte di ogni dolore. E forse l'unico timore è mostrare. E sei costretto a nascondere. Per impedire agli altri di vedere che tu soffra. Immaginandone il sorriso. Ma quella è un'altra storia. Cancellare i segni di fragilità è debolezza vera. E mi macchio di azzurro e di polvere di stelle sognate. Come se mi immergessi nella fonte della notte. La notte è la mia scatola. E mi sdraio sotto un coperchio di cartone. Con il timore della pioggia. Ammettere è il modo per archiviare. E spogliarsi dell'inutile senso astratto delle cose. Vittima di me stessa. Lento il mio amplesso con la crudeltà. Fino alla sevizia di ogni gioia. Ho imparato a lisciare i brividi sulla mia pelle. E a cullarmi da sola. Ogni volta che avrei voluto piangere e non potevo.Ogni volta che avrei voluto essere abbracciata e rassicurata. Adesso sono così nuda da non avere più pelle. E intreccio brividi con le vene.
Una stella cadente ha graffiato il mio cinismo.
Indesiderata.
Ha cosparso il mio cielo di luce vera.
E nella sua coda ho avuto timore a riporre.
Qualsiasi cosa.
Ho preferito donarla.
Vi dono la mia stella cadente inaspettata.
Sono sicura che saprete farne buon uso.
Io non riesco.

lunedì 10 agosto 2009

Io non rinnego. Sfrappongo. Tempo e spazio. Senza saperli distinguere. Come se avessero un corpo. Mentre invece hanno solo ali bellissime. Non nego mai l'amore. E continuo a farlo tremare dentro. Fino a frantumarmi le ossa. Come gusci nella tempesta. Mi faccio tremare dentro tutte le onde che posso. Fino a non poterne più. E' già successo. E alcuni segni sono solo amore. Non la sua scia. Ma la sua impronta. Ho voglia di nasconderli. La tempesta è passata. Ormai. E conto le conchiglie che non ho raccolto. Attenta a scongerne i colori. Le sfumature. A rovesciarne ogni goccia di acqua. Avvolta nell'acqua. E dall'acqua. Un blasfemo battesimo nell'oblio. E' come perdere il corpo. Dimenticare l'anima. Ritrovare la mente. Sentire il pensiero. Senza dargli importanza. Accettare. Il sole in faccia. Le ciglia di sale. Tirano. Sfilano pensieri. Rami di sensazioni. Manca la poesia. Ecco cosa manca. Manca la musica delle parole. Manca la carezza sui pensieri. E poi il graffio. E la sagoma delle labbra. Sigillo di sangue e anima. E un pezzetto di cuore. Quello che basta. Quello che è rimasto. Riconto. Le conchiglie sono aumentate. E poi diminuite. Nascoste. Dietro dune immaginarie. E immaginifiche. Una piccola riga di conchiglie bianche. In attesa dell'onda. La sabbia dentro. E contro. La sabbia ovunque. Fino alla mente. A grattare la superficie di ogni pensiero.
E perdersi nella leggerezza più pura.
Non teme giudizi.
Autenticamente impura.
La chiamano vento.
A volte vita.
Io la chiamo provvisoria armonia.
E a volte è "adesso".
Ogni mancanza è stata plasmata.
Ed è diventata un pezzettino in più.
Il vuoto che diventa pieno.
Sa che sarà ancora vuoto.
Forse perchè non era nulla.
Era "adesso".
E' il gioco delle maree dell'anima.
Ci proverò a spiegare quell'intarsio di pece e di miele che in un attimo mi travolse. Bastò una chiave. E il mondo si tinse nero. E fece di me altra. Piccola. Femmina senza ventre. Colavo dalle fessure. E non trattenni nulla. Fuggii. E così mi persi. Come una foglia in un bosco. Io ritrovai la delusione e il perdono. E li confusi. E perdonai invece di sentirmi delusa. E mi sentii delusa invece di perdonare. Come se avessi confuso le mani. E le sporcai. E me. Mentre le femmina colava ancora. Emorragia di donna. Nella pozza di un presente da rinnegare. In cui specchiarsi. Senza trovare la forma dei propri fianchi. Come se fossero panelle. Erano carne. Non erano voglia. La foglia adesso aveva raggiunto il fiume. Spenta sul suo letto. Desiderava annegare. Attenta a scansare i sassi. Distesa. Osservava solo il cielo. In attesa della foce.
Una foglia di carne si è mai vista?
Non ho spiegato. Solo riosservato. Io non ho bisogno di capire. Solo di una parola. Ne ero convinta. Ora neanche più. Il tempo l'ha resa inutile. Ha tatuato il bisogno. Tra le mie labbra.
Negata.
Ma non è così che cambia il mondo. E gli altri non sono sagome nel nostro teatrino. Di scelte vivono. E noi pure. Io quelle scelte non le ho fatte. Rovistavo tra le mie vene. In cerca della parola. Era nel sangue. Ma non nel mio. E la immaginavo tra le labbra avide. Le mie dita la disegnavano su quelle labbra. Intingendole nella saliva. E lasciandole leccare.
Il mondo gira nell'attesa.
E una risata lo spinge avanti e dietro.
Io resto.
E mi ricambio.
Sono l'unica che può cucire gli strappi.
Tra me e me.
Coperti dalla pece.
E dal miele.
Leccati.
Come se fosse pelle.
E come se fosse quello che non era.
Forse un disegno.
Forse una fiaba.
Forse una voce.
E mai sarà.
Se poi il mondo non gira, giro io.
E' il cielo che rade i brividi a questa mia pelle. Rasoio d'anima. Stanotte è livido. Siamo tutti sotto lo stesso ematoma. A caccia di sollievo. Il cielo è un soffitto tumefatto. Di una notte fatta di vento. Anche se è immobile. Non vedo stelle. Si sono perse nell'urto. Sottratte e nascoste. E sento solo l'odore del vento. A circumnavigare il mio sonno. A segnarne il profilo.Tra una parola e l'altra. Nella più calda incoscienza. Fatta di palpiti sfacciati. Nella mente. La casa della mia intimità. E del mio non contegno.
Arriva e scappa.
E non l'hai visto.
Sai solo che è passato.
Ha dato e tolto.
Come un ladro gentiluomo.
Avrò per sempre uno spicchio in meno. Un pezzo mancante. Rubato dall'eccesso. E a lui donato. A mani piene. E trabboccanti. E a volte si chiama voglia di amore. Leggera e morbida. La coperta del cuore. Come una musica. Sempre là. Nella mente.
La logica non conta.
Sono una semiluna.
E lo sarò per sempre.
Bagnata da uno sputo di follia.
Leccata in una pozza.
Secreta da un cielo livido.
O solo raccolta con un dito.
Ora gronda luce.
Non pare lo stesso.
E poi contamina.
Nessuna crudeltà è riservata a quel cielo.
Sta rivomitando stelle con indifferenza.
Tutte quelle che aveva rubato.
Si è un pò pentito.
Almeno lui.
Io no.
E anche se lo facessi?
Cambiare idea è il diritto di una mente che si avvolge.
E poi si srotola.
Una luna mi freme addosso. Scintilla di buio. La accarezzo. Prima di recidere ogni carezza dalle mie mani. La cospargo sulla pelle. Sfoglia di luna. Strati di luna. Come se fosse una medicina. Da sempre confondo cura e causa e malattia. La luna tra le mani. Una veretta invisibile. Scivolata da un cielo sconosciuto. Silenziosa e innocente. Meravigliosamente incoerente. Una luna. Seguita da altre lune. L'una dietro l'altra. Rotolano. Perle di una collana spezzata. Residui di candore. Frammentate da silenzio e distanza. Confondono. E mi sorridono. E io ricambio. Non nego mai un sorriso.
Neanche al buio.
Ho sciolto ogni legaccio.
La lama ha tagliato.
E l'ho sentita.
Come se fosse sangue nel sangue.
Ha reciso ogni filo d'erba.
Sgozzando ogni delirio.
Ed ogni inganno.
Scrivo quello che penso.
Senza mischiare.
Fili e stelle.
Sangue e luce.
Il frutto con la terra.
La terra con il cielo.
Astri e pensieri.
Non cerco. Da tempo ormai. Non cerco nè raccolgo. Nè comprendo. Non ci riesco.
Mi basta un fazzoletto di terra da ripiegare nelle tasche.
Vi coltivo rose.
Impure e crudeli.
E le loro candide spine.
Ricucimi gli strappi sul cuore.
Ho ricucito.
Rammendami gli errori.
Ho rammendato.
Oggi mi chiamo futuro.
O forse era ieri.
Oggi sono senza nome. Ogni volta che manifesto. Resto senza nome. Senza dignità. Con un buco al posto del cuore. Pieno zeppo di stracci. Non provo freddo. Nè dolore. Solo vuoto. Al centro. Manifestare è perdere un pezzo. Una risposta. Ho fatto un patto. Tanto tempo fa. Nascondere. Quello che sento. Come se svelare fosse bruciare dignità.
Battono qua.
Nelle mie vene.
Le risposte.
Non ha senso cercarle altrove.
Non darmi nessun nome
Non lo voglio.
Voglio solo diluirmi in un cielo senza stelle.
Non è l'oblio che mi turba.
Ma il ricordo.
La velocità travolgeva insetti e aria calda.
Quasi pungeva.
Arrotolava il tramonto.
Nessuna sfida.
Solo voglia di luce.
Cacciatrice di tramonti.
Fette di sole.
Nelle tasche della notte.
E nelle mie.
Fino a sentirle esplodere nel buio.
Prima della notte.
L'odore dei ricordi.
I ricordi di una bimba.
Sono netti.
Hanno contorni e confini nitidi.
Sono semplici come il profumo di un fiore.
Lo senti e ti avvolge anche se non lo avevi visto.
Gli basta questo per attestarne l'esistenza.
E a te per sapere che da qualche parte c'è.
I ricordi dell'infanzia sono precisi.
Esatti.
La gioia è gioia pura.
E il dolore anche.
Un dolore pulito.
Senza commistioni.
Le sensazioni sono fogli di un libro.
Da sfogliare.
Ognuna inizia e finisce in una pagina.
E nell'ultimo punto tace.
Senza astrazioni.
Sanno di pane buono.
Dalla crosta ruvida e bianca.
Hanno l'odore del mare.
Come se almeno una volta avessero guardato con i suoi occhi.
Oggi mi sento sfusa.
Come un presente con aspirazioni di ricordo.
Saltello sul bordo tra presente e futuro.
E spesso inciampo.
E rialzarsi è difficile.
Ci guardiamo da finestre senza vetri.
Per evitare riflessi.
Sogno una me che sogna.
Sogno una me che mi sveglia.
Sogno una me che si risveglia.
E poi risogna.
Il risveglio è un istante.
O forse una cascata inclemente di tempo.
Sgorga dal manto della incoscienza.
E accarezzo il tempo.
Come la coda di un gatto.
Il lenzuolo è il velo che mi separa dalla realtà.
Lieve e morbida illusione.
E ancora risogno.
Lieve e morbido è il confine tra vivere e dormire.
E sognare.
Un mondo di alberi.
Alti.
Le fronde inquiete.
Fino alle stelle.
Fino ad urtarle.
A toccarle.
E farle rimbalzare.
O solo fuggire.
E scalini tra le stelle.
Dagli spigoli acuminati.
Sogno di smussare i lori angoli.
Prima di sgozzare stelle.
Lungo il percorso.
Strada facendo.
Per lasciare la traccia.
Stelle innocenti.
Palpiti di luce.
Frammenti di stelle.
Scie e sussurri.
Lacrime e brividi.
E non sogno più di sognare.
Ma sogno di non sognare.
Senza svegliarmi.
Il tuo respiro.
Si intreccia con il mio.
Come le tue mani sui miei fianchi.
Il mio segreto è sulla nuca.
Graffiato sulla pelle.
Ricamo di inquietudine.
Nascosto.
Annusalo.
Sa di verità.
Devi seguirne il contorno.
Senza toccarlo mai.
Perchè toccarlo fa male.
Più a te che a me.
Voltami e insinuati tra collo e mente.
Perditi dentro la mia mente.
Non voglio baci.
Solo parole.
Parlami senza svegliarmi.
Sogno una me che sogna.
Sogno una me che mi sveglia.
Sogno una me che si sveglia.
Il bosco si è sdraiato.
E il mio segreto è ancora dentro di me.
E io dentro il bosco.
Tra i frammenti di stelle.
L'unico suono che percepisco è il loro calpestio.
Le emozioni sono più tenaci di ogni pianto di stella.

lunedì 3 agosto 2009

Urla contro lo specchio la mia maschera. E si confessa. E le confessioni si striracchiano e dondolano. Nella loro ombra. Evaporano nell'urlo. Improvvisamente. Come se fossero lacrime di una luna disperata. In fuga dal sole. Mute nel mio fiato. Nascoste nella mie parole. Mentre mi respiro contro. Affondano nel lago dei miei occhi. Mi ricamano l'iride. E scorgerle è davvero difficile. Parole. E frammenti di anime. Giocano con i miei pensieri. Fino a spingersi dietro. Confessioni su confessioni. Veli della verità. Impiccata come una luna senza cielo. A volte mi domando in quale istante si sia scheggiata la coppa dell'orgoglio. Il cristallo ha tintinnato. Ha tremato. Ha fremuto. E il mio controsangue ha iniziato a scorrermi dentro.
Ha zampillato dal cuore come da una fontana.
Indegna.
A fare collane di briciole.
Capaci di graffiare il collo.
E di baciare ogni mio timore.
Da allora ho leccato tante volte le mie crepe.
Era rugiada.
Fatta di comprensione.
Secreta.
Estorta ad una rosa.
Sola.
Vittima delle sue spine.
C'è una stanza in fondo.
Non ci arriva nessuno.
Immensamente piena del mio vuoto.
Rimbomba del vuoto di me.
Ho modellato sagome e deliri e desideri.
Da allora mi sono sentita indegna.
Una confessione interrotta.
Una parola frammentata.
In sillabe e nel foglio.
E ho atteso l'onda.
Per attraversarla.
Sentirla sulla schiena.
A caccia del sole.
Sopra.
Oltre l'acqua.
Ci sono tante stanze dentro di me.
Una dietro all'altra.
Fino all'ultima.
Ho smesso di tenere le mie porte chiuse.
Non ho più paura del vento.
Ora che il mio cuore batte contro la tua schiena.
La notte si apre davanti a noi.
Come una mela.
E il vento schiude le mie labbra.
E ci disegna un sorriso.
Ci saranno altre notti da attraversare.
Notti fatte di vento.