E innocente il gioco.
Quasi pulsa.
Batte nelle vene.
E affonda come un sasso nello stagno.
E sei l'onda.
Tu lo respiri.
E non vuoi.
Spogliami.
Spogliami la carne.
E il cuore.
E poi sfondalo.
Dolcemente.
Spogliami e vestimi di luna.
Quando ti penso tremo.
Tremare è il gioco più innocente.
E cerchi un rifugio.
Quando una donna si sente una stella.
L'incastro dei brividi nella mente.
Come se fosse cielo.
E tremarti addosso.
Non per riscaldarmi.
Ma per resistere.
L'amore è il filo che si interseca con i nostri giorni.
E ci smebra la vita in segmenti irregolari.
Complica e devia.
E perfidamente lega.
Come in una foresta.
In un non luogo.
E desiderare è un pò essere immortali.
Divinamente umani.
Dei di carne,
con il cuore nel petto,
che tentano di vendicarsi della morte.
Non voglio essere amata, solo mangiata.
E poi nutrita.
Non voglio amore.
Ho solo fame.
*
Vertigini di raso. Afferro un lembo. Scivolano e affondano. Soffici come piume. Si sovrappongono. Ma poi sfuggono. Come scalare la panna. Il tempo che le ciglia si bacino. E le piume si sfiorano, ma non lasciano segno. E a volte mi sento così. Una ciglia smarrita. Dimenticata in un orlo. Un segnalibro di pagine invisibili. Perchè è bello pensare che i pensieri si inseguano. E le parole vaghino. Diventino sangue. E fiato. E tra tutte queste distese sterminate, galassie della mente, poter essere un piccolo intervallo. Quasi una virgola.
Così mi assento.
E mi riavvolgo dove mi ero interrotta.
Come una fiaba spezzata.
Ed una musica rammendata.
E' un lembo di carne. Su cui ho inciso un pensiero distante. E una illogica nostalgia. Una pausa. Una sosta. Una piazza. Un punto che non si arcua in domanda.
Tra essere e dare non so scegliere.
E mi semino obliqua.
«Nel corpo, non meno che nel cervello, è racchiusa la storia della vita».
*
Illogico è il dolore. E senza voce. Cerca di bucarti la pelle. Per trovare una via di fuga. Una porticina. Uno spiraglio. Un urlo. E con le dita parli. Fino a fartele sanguinare. Voraci e sgomente come rami contro la roccia. Cercano il segno in cui lasciare un nuovo segno. Per colmare i solchi e sperdere la propria voce muta.
Non ho più nome.
L'ho donato al mare.
L'ho visto annegare tra le onde.
L'ho visto dilaniato nel becco di un gabbiano.
L'ho visto colare a picco, come un sasso.
E ogni volta l'ho creduto mio.
E l'ho seguito.
Come un granellino di sabbia.
Fino al fondo.
Dove credevo dormissero i pesci.
Nella pancia del mare.
Come uccelli inversi.
E ogni volta mi sono svegliata, esatta come una campana a festa.
Oggi sono un morbido nulla.
Indolente e rabbioso.
In momenti come questo, come quando accarezzi il fondo, perchè altro non sai fare, vorresti una memoria liquida. Dove le parole non prendono forma. E si può dire tutto e nulla.
Senza direzione.
Come frecce pentite.
Mordimi le viscere.
Masticami il cuore.
E poi stringilo forte tra le mani.
Come un pesce che sta per morire.
Legami la mente.
Ho polsi sinceri.
E lacrime vergini.
Quasi ridicole.
Le potresti scambiare per il mare.
*
Poi ci sono cose che non sembrano dolci, ma che lo sono per davvero. Dolci come l'odore del mare ad aprile. Riempie l'anima e la gola. Di tenera nostalgia. Forse perchè ad aprile io fui quasi felice. E quell'odore, quasi incompiuto e imperfetto, mi riporta in quel punto. Come se fosse un punto di partenza e di arrivo. E ancora. Le conchiglie che si rotolano sulla riva e raccolgono e svuotano sabbia. Nessuno penserebbe a tutto questo come dolce. O forse lo hanno pensato in molti e non lo ricordano. Ma vi è infinita dolcezza nel velo di acqua che le accompagna e le ricopre e poi le libera nella luce. Senza farle mai asciugare. Abbandonandole solo per un attimo. E poi tornare ad accarezzarle. E permettergli di perdersi ancora. E di riempirsi e svuotarsi.
E la dolcezza in genere ha la corteccia ruvida della spontaneità.
Vorremmo solo qualcuno capace di lisciarla.
Come per incanto.
La magia del toccarsi senza che finisca mai.
Fino a divenire una sola superficie.
E in un dopo che poi è un quasi dentro, un pò più a fondo, nell'attimo dopo, trovare una carezza, una parola, un sorriso. Senza un motivo. Perchè la dolcezza è la capacità di accarezzarci, fino a farci sorridere. E ridere. E mordere luce. Senza nessun perchè. La logica spegne le emozioni, perchè a quel punto, ci raggiungiamo oltre la pelle. E la pelle ha compreso il quasi tutto. E d'istinto ha gioito. Come se respirasse.
Oggi, voglio sentirmi libera di esprimermi.
E ricamare sul bianco.
Piccoli grazie.
Come se fossero frammenti di luce.
Sulla pelle del mondo.
Un piccolo rettangolo.
*
Arresa. E tra le mie braccia fasci di aurora. Tagliano. E a volte torna. Torna l'aurora. E si mescola al disincanto. Non c'è il pallido stupore. Non c'è più. E ho una coltre fitta e densa che avanza. E la mia aurora mi sta tremando tra le braccia. Senza parole. O solo una. O forse di più. Non riconosco più le parole. Avrei voluto spiegare. Perchè così capisco. Estraendomi i pensieri dal petto. E tenendoli tra le mani. Toccandoli. Perchè a volte penso con il cuore. Per quello è così difficile spiegare. E quando poi si formano ingorghi mi perdo tra l'amare e il credere e il pensare e il sentire. E penso attraverso il sangue. E amo attraverso la mente. La parte in cui ho portato poche persone. Davvero poche. E' tutto confuso. E l'aurora fa male. Ho tagli in cui la luce si insinua. E mi scava. Un orgasmo di luce. Non ho avuto paura e ho visto le stelle. Mentre mi coprivi il cuore. Con il tuo. E sentivo batterti contro. E respiravo il mondo. Mentre mi perlustravi la mente. Avrei voluto descriverti quello che provavo. Quello che pensavo. Non per farti capire. Ma perchè era bellissimo. E non era lo stesso. E le stelle lo impedivano. Sì, io amo con la mente. E sanguinare non mi spaventa. Là sono davvero io. E lì mi avresti trovata. Aurora dopo aurora. In silenzio. A raccogliermi i battiti. Relegata nella soffitta della irrealtà. Ad intrecciarla con le mie favole di carne. Perchè la verità non basta. E oltre a quella non ho altro.
E mi lascio osservare.