martedì 25 agosto 2015

E avvicinarsi pericolosamente all'errore.
Fino a provare l'emozione di sfiorarlo.
Come un pavido incompiuto.
E poi convincersi che è tutto sbagliato.
Morbida suggestione.
Perché la misura del bene è sempre inesatta.
E poi oscillando si perde la direzione.
Adesso, ad occhi chiusi,
nascosta dentro me stessa,
ascolto il mondo.
E la sua scia.
Eppure avrei un disperato bisogno di una favola nuova.
Sangue e cielo.
Detesto la parola bisogno.
Disegna tutta la incapacità.
E il limite.
Mentre
mi
affascina
perdutamente
la
forza
del
sogno.
E si sbriciola la differenza tra sognare ed osare.
Io e la mia mente ci apparteniamo.

                 
 

     

Scomposta.
E la mente in quale cielo?
Forse un rettangolo dimenticato.
 E i piedi nelle nuvole, a prendere a calci le stelle.
Sara, non vi è dolcezza nella tristezza.
La tristezza è triste e basta.
Condannata nella sua dimensione.
Nel suo bordo stretto e livido.
E non gocciola seduzione.
Come ti piacerebbe, piccolina.
Strisciarla, cruda, sulle labbra.
Fino a farle sanguinare.

In fondo ai tuoi occhi io scorgo un frammento segreto di te.
Come una conchiglia smarrita.
Hai l'anima che profuma di mare.
Così ti piace pensare.
Ma a volte è solo un inganno.
Una malia.
Come se quel frammento non ti appartenesse.
O forse non c'era.
Ed è così triste avere il bisogno di ritrovarsi negli occhi degli altri.

 

 
             
 
 

      

E mentre ti confessavo il mio peccato, lo dimenticavo.
E mi sentivo assolta.
Perchè esiste una strana innocenza.
Quella immemore.
E mi voltavo e mi ritrovavo nuova.
Come adesso.

"...Lascia che il buio si faccia strada.

E' la lanterna che ti conduce a me.

Lega i nostri polsi in un nodo.

E' il buio che segna la mia carne.

La scava di desiderio e la cosparge di brividi e di attesa.

Lascia che il desiderio disegni e segni il mio sentiero.

Come inchiostro invisibile.

Svelato solo ai tuoi occhi.

Nasconditi dentro di me.

Come il seme si nasconde nella terra.

Voglia essere la tana del tuo cuore.

E la culla del tuo respiro.

E piovimi tutto l'amore di cui sei capace.

Contro la zolla della realtà.

Dentro i fiumi scavati dal mio desiderio di te.

Spalancami l'anima.

E battimi nel cuore.

Fino alla fine di me.

Sulla mia pelle languono i segni del tuo nome.

Inciso sulla carne e baciato dall'intreccio del nostro sangue.

Se lo fa tremare dentro.

Fino alle ossa.

Prenditi tutto.

Perché io sono tua.

Ti dono la mia aria.

Altro non ho.

Rifugiati nei miei meandri.

Oltre il cancello.

Spalanca la mia paura.

E frantumala.

E poi spargila nel vento.

Come polline fecondo..."
(estratta dalla sacca del tempo)
 

 
                 
 
 

      

E
poi
descrivermi
nel modo
peggiore
possibile
mi rende
libera
dall'ossessione
della perfezione.
Un brivido, una vertigine, una fitta,
un punto che pulsa alla rinfusa
e io la sua eco
e nuovo dolore
per rimuovere
il solco ancora fresco
di quello
or ora levigato.
Vorrei descrivertelo...
è un'onda nera
che non copre
ma graffia.
Feroce come un morso.
E i suoi segni, nella mente.
Nessuna mente divorerà ancora la verginità della mia bocca.
E le sue promesse infrante.
 

 
 

Forse una goccia.

O altrimenti l'immenso.
Nella luce mi nascondo l'anima e, senza sbavature, la preservo.
Perciò, la mia casa è il buio.
E non resisto alla armonia scomposta della indecenza.
Quasi fosse un sussuro eterno.

E poi nella terra
il desiderio
come il seme.
Perché
alla
fine
di
dolore
non
si
muore.
Vince la vita.
Anche se
irrimidiabilmente
si cambia.
Resta la perversione
del perseverare.
Quasi come rammendarsi le ferite.
Un
brivido
in
quel
precipitarsi
che
infilza
come
una
vertigine.
Per guardare la cudeltà
più
da vicino
possibile.
Se non aiuta
a decidere
cosa essere
serve a scegliere cosa non essere.
Nulla
che
non
sia
assolutamente
autentico.
Ricordi l'odore dell'erba?
Nella mia terra in alcuni punti
si mescola
vergognosamente
con la salsedine.
Credimi
è irresistibile.
Eppure
più volte
ho sussurrato
il tuo
nome.
Con poco pudore
e senza tregua.
 

     

A volte accadeva, quasi per caso, che il desiderio le partisse dai polsi, e facesse dei giri impensabili, come un dardo senza direzione. E che i polsi dal desiderio fossero serrati, ma con dolcezza. Allora sentiva quella  emozione, o forse era solo una sensazione beffarda, al confine tra il piacere ed il dolore. In quel solco in cui alcune donne incastravano l'errore e non sapevano farne a meno. Aveva provato a spiegare, ma era più facile fermarsi alla apparenza, alla sensazione di curiosità o di sdegno, osservare sulla soglia la sua mente che ancheggiava, piuttosto che fermarla, accarezzarle la mente, con decisione, e farla sentire assolta, abbracciata, forse compresa, o solo vicina. Sara aveva sogni strani, secreti dalla sua mente, come se fossero rivoli di piacere, pronti a solcare sponde ignote. E non si negava, offrendo pezzi di sè, come capitava. Le sue mani bianche, le sue iridi feroci, le sue labbra livide, le sue caviglie ferite, e si spalancava, sogno dopo sogno, solo per ricercare ancora il frammento di quel dolore, che le faceva una immensa compagnia, e per avvolgersi nell'alone del giudizio, sino a farsi disprezzare. Perchè avvicinarsi al male le era sempre piaciuto, per guardarlo da vicino, per osservarne le movenze, perchè desiderava la redenzione di quella carne che si impregnava di brividi ed a cui aveva sempre negato amore, un amore vero. Poi era accaduto, aveva ripiegato il cuore e aveva lasciato le mani nel vento, e così aveva provato sollievo. E non sapeva spiegare, solo che quella sensazione tornava, ad ogni tocco, quando si schiudeva come un fiore, per implorare un nuovo morso, più forte del precedente, per nasconderne a sè stessa i segni, e sentirsi almeno per un istante intonsa, di nuovo, come se non fosse mai esistita.
Eppure basterebbe così poco.
Ma il piacere lo esige il cuore, non la carne.

 
                 
 
 

     

Donna, fatta di acqua, che acqua diventa ed acqua rimane, e pura si perde verso il cielo, per riprecipitare, preghiera, dopo preghiera, fatta di nuvole. Acqua che scorre, senza forma, e con mille e più forme,  e mai sa smettere, che poi si infila tra meandri sconosciuti. Goccia dopo goccia, ora lontana dalla luce, per scivolare, oltre ogni segreto, ora incontro alla luce, affamata di sole buono e sincero, con le braccia calde e goffe della comprensione e della tenerezza, in cui perdersi significa esistere. E sa corrompere la materia, penetrarla, segnarla, non per lasciare il suo segno, ma perchè ha bisogno di osare, di segnare il percorso, una via di fuga. Nella mia mente, non serve affacciarsi, ma precipitare, oltre ogni pioggia e deserto, senza funghi per cappelli, senza scarpe, una musica fatta di fiori, del loro odore selvaggio, provvida, più di una primavera, di attesa della inclemente estate. E là incontrare i miei sogni, ed i miei orrori, la rete dell'errore, del sentirsi sporca, pur non sapendo di essere acqua. Per salvarsi, senza essere mai stata condannata.
All'improvviso le rose sono fiorite. E non ne vedo i colori, le corolle e le spine. Ma solo il loro odore che si stempera nell'aria.

 
 
 
 

     

Incompiuta, lo confesso. Come una melodia interrotta. Ed anche instabile e animata da una voglia di chiarezza che alla fine confonde tutto. Come se le parole non fossero altro che lettere. Ossimoro tra carne e anima, mai in pace tra di loro. Con i confini nel nodo del peccato.  Disegno la mia mente con un tormento indifendibile che a volte è un distillato di cielo, altre di terra.  Pece che nasconde e affoga. Detesto non essere compresa, in quegli istanti cancellerei il mondo, con un "delete". Ma poi ci ripenso e spesso la mia solitudine è nel non saper aspettare, ma da qualche parte ho imparato che il tempo tra te e gli altri fa troppo male, come se fosse una tasca in cui accumulare indifferenza e distanza. Meglio distruggere tutto, pur di attenuare il dolore, almeno un poco, perchè altrimenti fa una gran compagnia.
Ma oggi c'è il sole, e ho voglia di mare.
Ci penseremo domani.

 

 

Asterisco      

Non sai districarti nella mia morsa. E respiri, ti respiro, quasi gemo. Mi detesto quando percepisco la crudeltà del mio piacere, e il tuo sangue che mi pulsa vicino, fino a frammentarmi i pensieri ed i sogni. A volte è lo stesso, sai? un volo che sembra renderci liberi, fino a moltiplicarci, come pani e pesci. Senza nessun controllo, se non il vezzo di vivere, bene, il più possibile. Non sono una preghiera ma la peggiore imprecazione che tu sappia pronunciare. E mi contraggo, prima di divenire lava, senza saper smettere di scorrere. Adesso se tu posassi le labbra sul mio cuore,ti bruceresti.

Luna bagnata
E come la riva viene bagnata dal mare, tu mi lavasti, fino a lasciarmi a tremare nella pioggia. E da allora non so tremare, né pregare. A volte ho creduto che la misura del desiderio fosse il peccato, ma poi mi sono ricreduta e l'ho calibrata alla ingenuità. Non quella ostentata o lasciata sbiarciare, oltre le gonna, ma quella che dal sangue buca la pelle e macchia, lasciando aloni candidi e mai pregni. Non sono oscena ma una luna di sangue che a volte sanguina e altre attende la ferita giusta. Quella che poi si fatica a dimenticare. Come se la gioia non fosse altro che l'attesa non satura del dolore. E nei giorni, come oggi, proprio come questo, quando non sanguino, ho una fame immensa ed invereconda, e potrei fare molto male.

 

Futuro Remoto       

Ridicola follia tra stralci di un passato mai avvenuto, ossimoro tra sogni e lividi.


Lascia che il buio si faccia strada.

E’ la lanterna che ti conduce a me.

Lega i nostri polsi in un nodo.

E’ il buio che segna la mia carne.

La scava di desiderio e la cosparge di brividi e di attesa.

Lascia che il desiderio disegni e segni il mio sentiero.

Come inchiostro invisibile.

Svelato solo ai tuoi occhi.

Nasconditi dentro di me.

Come il seme si nasconde nella terra.

Voglia essere la tana del tuo cuore.

E la culla del tuo respiro.

E piovimi tutto l’amore di cui sei capace.

Contro la zolla della realtà.

Dentro i fiumi scavati dal mio desiderio di te.

Spalancami l’anima.

E battimi nel cuore.

Fino alla fine di me.

Sulla mia pelle languono i segni del tuo nome.

Inciso sulla carne e baciato dall’intreccio del nostro sangue.

Se lo fa tremare dentro.

Fino alle ossa.

Prenditi tutto.

Perché io sono tua.

Ti dono la mia aria.

Altro non ho.

Rifugiati nei miei meandri.

Oltre il cancello.

Spalanca la mia paura.

E frantumala.

E poi spargila nel vento.

Come polline fecondo.


Era ieri...
 

non è mai stato così difficile...

              
Ascoltare la voce del mare. Ha inspiegabili picchi ed inflessioni, ed io la seguo come un nastro che si slega, oltre le mie ciglia; mi sporgo con il respiro e la voglia di star bene. E tutto trema, come un miraggio. Una e mille voci si sfiorano e mordono le mie paure che non mi toccano più. Ho questo inspiegabile peso della incomprensione, un macigno che ottunde e non sento più la poesia del flusso della vita, i suoi riccioli sparsi; come se all'improvviso io non riesca più a sentire altro che il battito confuso della mia mente e la mente ovunque. Ed ogni contatto amplifica la distanza, e mi proietta lontano come una stella senza luce, ribaltata sotto il soffitto, tra gemiti senza anima. E senza firmamento alcuno. Ed è così imbarazzante il vuoto che provo, goffo ed austero, immemore e feroce, nello stesso tempo. C'è troppo di niente. Ed è immobile e si intreccia al respiro. Forse basterebbe un raggio di sole buono, proprio quello che non sembra mai scalfire il mio cielo. Ed è racchiuso in una mano. In quel tocco che non fa male.
Ed è così che ho smesso di notare i dettagli, perchè l'essenziale è sempre e solo nell'essenziale.
E in null'altro.
Ed è sempre tutto così poco chiaro.
Da non aver bisogno di altre spiegazioni.
Perchè io non voglio sapere.
E mi rifugio nella periferia di me stessa, perchè nel centro c'è senza dubbio troppa confusione.

 

non è mai stato così difficile...

              
Ascoltare la voce del mare. Ha inspiegabili picchi ed inflessioni, ed io la seguo come un nastro che si slega, oltre le mie ciglia; mi sporgo con il respiro e la voglia di star bene. E tutto trema, come un miraggio. Una e mille voci si sfiorano e mordono le mie paure che non mi toccano più. Ho questo inspiegabile peso della incomprensione, un macigno che ottunde e non sento più la poesia del flusso della vita, i suoi riccioli sparsi; come se all'improvviso io non riesca più a sentire altro che il battito confuso della mia mente e la mente ovunque. Ed ogni contatto amplifica la distanza, e mi proietta lontano come una stella senza luce, ribaltata sotto il soffitto, tra gemiti senza anima. E senza firmamento alcuno. Ed è così imbarazzante il vuoto che provo, goffo ed austero, immemore e feroce, nello stesso tempo. C'è troppo di niente. Ed è immobile e si intreccia al respiro. Forse basterebbe un raggio di sole buono, proprio quello che non sembra mai scalfire il mio cielo. Ed è racchiuso in una mano. In quel tocco che non fa male.
Ed è così che ho smesso di notare i dettagli, perchè l'essenziale è sempre e solo nell'essenziale.
E in null'altro.
Ed è sempre tutto così poco chiaro.
Da non aver bisogno di altre spiegazioni.
Perchè io non voglio sapere.
E mi rifugio nella periferia di me stessa, perchè nel centro c'è senza dubbio troppa confusione.

 
 

Stella mozzata

              
E passi come ciliege. Un sassolino e un sorso. Tre lacrime e poi nulla più. La indifferenza non si colma con nessun fiume. E io mi scorro, fino al piacere più selvaggio, mentre mi insegui fino al precipizio. E mi raggiungo mentre tu mi tocchi. Non siamo carne ma voli di farfalle cieche. E poi corolle di fiori sconosciuti. E nella cera ho lasciato le mie impronte. Tu prova a cancellarmi, se ci riesci. Io non mi salverò. E non ho nessuna intenzione di salvare te.



luna semi.seria

              
Non conosco altro modo di conoscere gli altri, che essere me stessa, e non parlo di sincerità - quello è l'incanto che avviene talvolta, di rado, forse una volta sola o mai - ma del bisogno di sentire gli altri, di annusarmi addosso le impronte e restituirle, a modo mio, spesso sbagliato, ma sforzandomi di essere autentica. Parlo di quel limite prima del contatto. Ho smesso di cercare artifici nella comunicazione e quelli degli altri li riconosco subito, sono gli stessi che spesso ho praticato sulla mia anima e sulla mia mente, troppe volte e si slabbrano in strategie di difese, di manifestarci più o meno forti, tristi, felici, annegandoci in un mare di percezioni di facciata. Poi ho compreso, o forse ho intuito, e deciso che ogni percorso di conoscenza è un modo per percorrersi ancora, per continuare a capirsi senza capirsi, perchè siamo alberi con una sfacciata ed immensa voglia di sentirci i rami nel vento, di sentirci esplodere le foglie addosso, di resistere al gelo, in attesa di altre primavere. Alberi inversi, senza terra, con una maledettissima voglia di penetrare il cielo. Siamo oltre ogni apparenza più scintillante, anche se tenta di oscurarci. A volte penso che nulla ci lascia più nella luce del buio. Siamo oltre ogni parola, plausibile spiegazione, oltre ogni ragione tolta e negata, oltre ogni equivoco, siamo quello che sentiamo, e che non smette di urlarci dentro, contro ogni silenzio. E mi perdo nell'incomprensibile, perchè so che avvicinandomi non lo afferrerò.

 

Sangue di fragola dal rubinetto...

              
Fervida disarmonia. E mi volto. E mi abbraccio. Non voglio ritrovarmi, ma solo sentirmi. Pezzi di donna, con l'anima in mezzo. Ed è fortissima l'esigenza di restare immobile, perchè si ha il bisogno di sentire quello che si è dentro, come se la carne ne fosse l'involucro ed il sangue ne segnasse il percorso. In genere, quello che scrivo corrisponde meno di adesso a quello che sento, come se lo estraessi, da un cassetto dimenticato, ed il corpo ricordasse, con più o meno dovizia di dettagli, ciò che è stato e ciò che mai fu. Oggi, le dita, si sottraggono all'immobilità, che forse è uno solo strano silenzio. Con il respiro avvolto nell'aria, raggomitolato, ho solo voglia di cancellare, carezza dopo carezza, e abbracciare ogni pezzo di me, oltre ogni mancanza di pudore, oltre ogni confidenza tradita, e ogni lacrima smarrita, come perla di una collana spezzata. E mi tengo il cuore tra le mani, per capire, ancora una volta, e mai più, che non è un pezzo di carne. Il mio cuore è fatto di nuvole ed a volte ha bisogna di un gran vento che gli pulisca il cielo. Altre no, di diluvi interminabili. E di poche parole, non esatte, ma giuste, capaci di incastrarsi ai battiti, come un metronomo irregolare, ma infaticabile. E le parole seguono il respiro ed il respiro la linea delle labbra e la mia bocca si schiude in un pensiero. Segreto. Non chiamatelo peccato.

 

 

Non chiamatemi aria

              
E non resisto, proprio non so, non ci riesco, e mi ammalia quella leggerezza che sa di profondo, quella che sa accarezzare, senza graffiare, e che sa sfiorare e poi all'improvviso si immerge, senza ferire e scava e non fa male, tocco dopo tocco, apnee languide, e te la trovi, senza sapere come, intrecciata al fiato, a schiacciarti i battiti e la senti, perchè altro non puoi nè sai, come quando esplode un fuoco d'artificio e nel cielo c'è solo un grande buio e la luce e le sue scie neanche sai dove sono finite, ma il cuore non sa smettere di batterti. In quell'istante sei solo un cuore che pulsa nel buio. Buio. E io mi ritrovo. Buio e so di esistere. Ed è il buio la casa dei sensi, dei miei, la grotta in cui la mente si fa liscia come un filo d'erba e attende la vita ed il suo soffio. Nel buio colorami, e la mia carne smette di esserlo, e la mia pelle diviene tela e la mia mente non ha più parole distinte e nette, ma solo schegge capaci di avvicendarsi, di inseguirsi, di modificarsi la traiettoria, in una corsa folle, senza senso, oltre il sangue. Ecco, io adesso non ne ho, e non sono più una pagina, ma una donna, che ti chiede di baciarle i suoi polsi, perchè i tuoi baci non siano un modo per cancellarle i segni ma solo per disegnarne di nuovi, come carne che chiede impietosamente nuova carne, nuovo fiato, nuova vita, umida e che incalza, senza smettere, senza logica, senza ragioni, senza limiti. E già ne sento il rumore irresistibile che si avvicina. Io non ci sarò quando aprirai quella porta, perchè si spalanca su prati sconosciuti dove io voglio perdermi. Senza nessuna pretesa di ritrovarmi. E di notte si sa se vuoi guardare, perchè io mi lascerò guardare, devi avere molto coraggio.
Per non calpestar le stelle.
Perchè ti avviso, poi fa davvero male.

Mela rossa ed i suoi spicchi

              
Ed è un giorno di sole pieno. Fitto di pensieri. L'odore del mare rassicura, accarezza, consola; avvolge come un lenzuolo che protegge, fin che ti viene voglia di restare ferocemente nuda, nel tuo silenzio, che silenzio non è mai. L'anima parla e non sa smettere. Davanti allo specchio la donna mi trafigge con il suo sguardo lontano, quasi pesante, fatto di piume e labbra a forma di passione, con il solco gravido di desiderio. E si fa dolce quando culla la bambina e non sa smettere di abbracciarla, assecondarla, lei ed i suoi brividi. Così nelle notti fredde si raccontava fiabe, lunghe, tutte senza fine. La donna si riguarda e la bambina è di spalle. Vuole essere coccolata ed inseguita e lei lo fa, ci prova. E si sovrappone. Unica come la verità che sente e che fa male. Dritta nel petto, a ridosso della pelle, dove si fa tutto più sottile. Perchè non si nasconde, dietro veli oscuri, non sa nè può. Non ostenta mistero, non serve. E nè li scosta quegli strati, perchè l'intimità non faccia più tanto male. Ma le parole divorano quel suo pudore. E la memoria anche, voracemente. E si lascia levigare dal futuro, come se ci fosse un coraggio nuovo nella voglia di vita che sente  e che infila nelle cose. Senza bisogno, questa volta, di essere compresa; forse quella era di ieri, ed oggi pulsa nelle tempie, e sui suoi polsi, dove qualcuno disegnò un tempo dei mughetti. Ed è un giorno zuppo di sole. Come quando devi uscire nella luce e devi sprovarci nel lasciarti mezze verità alle spalle. Oggi niente ombra, perchè la voglia di bene puro mi sta colorando le ciglia e quasi mi intacca le idiri. E così mi allontano, senza essermi mai avvicinata, senza alcuna impronta e nè alone, mi allontano e non raccolgo i miei passi. Nè i baci sognati e strusciati nella mente. Io c'ero, del resto me ne frego. Oltre ogni pretesto e ogni ragione. Io non voglio sapere.

 

E l'azzurro

              
E non era cielo, ma inferno terribilmente azzurro, quello dell'ora blu, di quell'ora di mezzo, sospesa tra il momento in cui il sole fa capolino e la luna stenta a sporgersi. Nessun astro, solo un blu imbarazzante, nella sua bellezza, e poi un sospiro, più di uno, ed una serie di pensieri, uno dietro l'altro, una raffica impietosa. Io ti ho violato, tu mi hai violata. Ed è forse questo? In questo si sostanzia l'essere assurdamente sbagliati. Il macchiarsi la carne solo perchè la mente incalza sul corpo, mentre il cuore è un astro nell'ora blu. Azzurro e muto. Assente ingiustificato. O forse impietosamente vivo altrove. Ma la vita che senso ha se tutto deve avere il suo senso? Ed i minuti devono incastrarsi necessariamente tutti per avere una loro dignità? Non sono ammesse pause e deroghe a questo tempo senza tregua. Certo, ora la so. Io violo, ma solo me stessa. Errore, dopo errore. Non cercatevi nelle mie parole. Là ci sono solo io.

 

Indiscreta come una falena nella notte

              
Non sapevi, non dovevi. Avevo percezioni con lembi rigonfi di piacere, ma non osavo confidarlo. E ricercavo nei sogni la sagoma della realtà. Mi raggiungevi ad ogni alba, tra rivoli di rugiada, mentre mi ribaltavo in un orgasmo rosa, sfuso e confuso, ed al risveglio restavo immobile, a dimenticare tutto con precisione, nell'odore della terra. Non lo ricordo più tutto quell'amore rubato. Lo avevo estorto, masticato, risputato, e lo ricomponevo nel silenzio della notte, per imbrattarmi di te, prima del risveglio, quando i sogni dicono siano più vicini alla realtà. Ma chi lo dice mente. E anche io mentre scrivo, non so smettere di mentire. Perchè la verità è troppo preziosa per essere letta, come capita. Nella mia alba, te la ho sussurrata ancora, sillaba per sillaba. Sono sincera. Questa volta, forse...

Come per incanto

              
Non mi volto mai. Non più. Perché i giorni sono solo assemblati di ore, figli di una regola provvida e finta, di una rete che incatena il tempo e con lui i nostri battiti, piccoli eroi incuranti che incedono nel sorso dell'esistenza, spersi nell'esercito del sangue e delle mille albe spezzate. Là la mia mente si adagia ed oscilla, come una luna su un fianco. Ogni carezza potrebbe lasciarle perdere il suo equilibrio, più di ogni schiaffo. In momenti come questi mi piace sentire lo sguardo sulla mia nuca e farlo scivolare, lento sulla schiena, come una lama, raccogliendo brividi come perle di una collana da spezzare all'improvviso, più di  mille sguardi annegati nelle iridi. E non chiudo più gli occhi perchè io sono padrona delle mie ciglia. E guardo il mondo ad occhi aperti. In momenti come questi ho bisogno di stordirmi con la più indegna oscenità, nella contorsione tra la donna e la sua anima, e frapporre tra me e gli altri distanza, una distanza immensa, fatta di rose nere e frammenti di parole; parole capaci di sembrare storie ma abili solo a puntellare la solitudine di un muro nudo. E di disegnare radici sui miei palmi, come se fossero alberi inversi. Con l'insopprimibile voglia di una comprensione diversa e profonda, senza eco. E con sillabe distinte. "E adesso entrami dentro e fammi molto male. Quello che cerco è la devastazione mia e di ogni limite, perchè così smetterò di aver paura". Nessuna favola liscerà l'alone di quel terrore. E poi non so più ascoltarle, nè voglio sentirle.

Cigliaalcioccolato

               
E non so quanto io sia stata mai più lontana di adesso da me stessa. Nè me lo chiedo. Gli uccelli cinguettano voracemente, e non c'è calura che tenga e che ne sfiati il canto. E il vento, tiepido e quasi denso, con la sua eco di pioggia lontana, fa cigolare il cancello, e sento che il mio mondo è qua, nel mio rettangolo di vita e di tempo e poi di anima e di carne e saliva. Ed è esattamente qua, nella mie vene verdi e blu, screziate di viola, che dal polso, come rami lievi, si sperdono nelle mie braccia, e annegano nella mia carne, e forse sfiorano l'anima, e poi non so dove si inabissino, nè se lo fanno. Io sono qua e nella vita che scorre, mentre il cane del vicino non smette di abbaiare, e la palma ondeggia davanti alla mia finestra. E sto nella fioritura della mia lavanda, nelle mie scarpe nuove, nella mia caviglia dolorante, e nelle ciliege che mi macchiano le labbra e poi ancora sono nel film che è appena finito, nei suoi titoli di coda. Cosa divento? Cosa ero? Non ho poesia oltre le frange di questa mente. Non ho altro che questa mia anima slabbrata che lascia sempre un pezzo scoperto. Quasi a morir di freddo. La neve sul cuore, io lo so cosa è. E lo so, ne sono certa, perchè altro non può essere, che questa notte basterà per cancellarti, per farlo per sempre. Ci sono quasi riuscita, e mi manca qualche schizzo ancora di stelle, per dimenticare. Per levigarmi la mente, come un foglio candido, che candido non torna più e questo mi strazia. E a volte mi piace ed altre no. Adesso non saprei. E così facile passare dall'immenso al nulla. Un'altra ciliegia ancora, il suo succo dolce, e poi ci ripensiamo.

luna di fiele

              
E la capacità e la poca voglia di vedere le cose come sono; nella apparenza c'è una insopprimibile verità. Il mare è e resta mare, e anche il cielo. Puoi pensare che la terra sia altro che terra mentre la annusi? E mi racconti una storia-non storia, e io fingo di crederci, perchè ne ho bisogno, e ti spalanco gli occhi e poi le gambe, e ti accartoccio i sensi nel mio palmo. "Non avere paura, fa male. Ma poi passa". Una luna non si penetra, si può solo frantumare. Sì. Frantumami, ma senza ritegno, senza cautela, senza cura. Io ho solo bisogno di un motivo per nascondermi dentro me stessa, e là respirarmi in tutta la solitudine di cui sono capace. Il mio cuore ha mille anni. Ed è duro come una pietra lanciata in alto senza fare mai ritorno. Una specie di stella di carne che pulsa. Al suo posto una mela scintilla, in attesa del prossimo morso. E non c'è sangue nè dolore, solo il piacere dell'attesa. Ho il difetto di comprendere e a volte tutto questo è molto ma molto noioso. Perchè le mie idee sono così folli da essere vere...
Uno, due, tre, stella!

Piovvero rose

              
E poi non più. Ed io vorrei spiegarvela, e spegnerla gradualmente, questa inquietudine, come una macchia nera sul cuore, pece che imbratta e che nel sangue non trova pace. Una fila di formiche verso la stessa briciola che non sazia. E la memoria è una tavola deserta. E nel battito e nel respiro l'intreccio dell'aria sui fianchi.
Forse un tempo...ed in prestito da me stessa. Sara dove sei?


"Oggi mi andrebbe di dire un sacco di cose bislacche. Variegate al pistacchio. Senza scandirle. Ma inpilandole le une sulle altre. Ma non come quelle che già dico. Un pò diverse. Strane e in un modo diverso. E senza logica. Perchè in quelle che in genere dico una logica c'è. Ed è tutta mia. Ma non riesco a spiegarla. Ho sempre voglia di dire tutto. Come se, una volta svuotata e ritrovandomi assolutamente vuota, oltre il limite, essere riempita ancora, come un'otre umida, sia più facile. E riesca, comunque, a dare la misura della giusta misura e del suo divenire. Perchè la giusta misura è un crescendo. Come una marea. E queste cose vorrei dirle tutte di seguito. Senza sentimento. Con la serietà del ripensamento. O del troppo ed assortito pensare. In un serpentone deragliato. E avvolgerle tutte nelle foglie,  tutte le cose sconclusionate. Con delica accortezza. E lasciargli fondere addosso minuscoli tocchetti di burro. Così alla rinfusa. Poi infornarle. E sentirmi la regina del mulinobiancoverdechenonc'è. Con il cuore che batte perchè è arrivato il momento dello sbarco clandestino. E dell'atterraggio di qualche spicchio di sana astinenza. La follia è la ripetizione costante ma irregolare delle stesse azioni. Ed il delirio è l'attesa e l'aspettativa di un risultato diverso. Come se in quel restare sospesi ci fosse un miracolo in nuce. La potenza del delirio fosse capace di slargare le maglie del divenire e soffiare l'infuso magico di una perfezione che non ci serve. Perchè siamo meravigliosamente imperfetti. Basta sapercelo dire. E perdonando l'imperfezione altrui ci solleviamo in volo come piccole divinità. O aspiranti saltinbanco. Un piccolo volo destinato a finire...".
Il tempo non si arresta.
Si asseconda.
Ho provato a declinare il cuore.
Ma sbaglio sempre.
Sembra assolutamente poco declinabile.
E' là, dentro la notte, ci siamo sfiorati.
Come nella placenta calda di una gestante indecisa.
Dove la nudità non era freddo ma sopravvivenza.
Ti ho detto "Inseguimi. Quando saremo fuori di qua. Corri a perdifiato. Dietro quell'angolo ci sono sette estati, un ramo fiorito e tre ciliege".
Ed è così che sono nata poi con la voglia di essere cercata.
Stupita.
Inseguita.
Sorpresa.
Come un piccolo virgulto di solitudine e di delusione

E adesso sparami. Sparami dentro la bocca. E uccidi il mio vestito d'argento. Sparaci dentro l'amore e l'odio. Voglio la poesia del tuo fiato. Il poema del tuo desiderio. Come una serie intermittente. Capace di fulminarsi come estremo atto di eroismo. E sentirmi le sue scosse, lenti e ravvicinate, nei polsi. Non preoccuparti non voglio abbracciarti. Ma solo sporcarmi della tua saliva. Il tuo fiume. Il gancio verso l'inferno delle mie viscere. Dove annego. E dove torno come una donna pesce. E là sei rimasto incastrato. Mentre io ti gattonavo davanti pudica come una lupa che si dirige al suo pasto. Una lupa sazia e crudele. Con brandelli di parole nelle fauci.
So essere peggio di quanto tu possa credere.
So essere l'incrocio tra un angelo caldo ed un demone gelido.
E tu lo devi sapere.
E devi sapere che so essere un animale.
E lo sono.
Ma solo quando voglio.
E adesso vattene se ci riesci.
Non sono il tuo peccato.
Io sono il mio.
Un peccato verticale.
Come la bava di una stella.
 

non di solo pane...

              
E i sogni sono precipitati, come le stelle ad agosto, scie che si perdono, quasi ami invisibili. Dita a violare il cielo e sanguinarsi dentro, perchè oltre non possono. Sensazioni negative, non indifferenti, ma con una puntina di negatività, una testa di spillo che punge, come quando sospiri e non sai neanche perchè e il dolore si fa strada dentro, improvviso sino ad inciderti il respiro. E quegli sguardi malevoli, inspiegati ed inspiegabili. Ho appunti di me stessa incisi, ovunque. E non mi copio, al massimo mi clono. Il calco originario è nascosto sotto un pino, mescolato alle sue radici devastanti. E questa notte, vagando, tra gambe e mente, il cielo mi sembrava davvero un soffitto, mentre l'odore della menta, arroventata dal sole, si stemperava crudele nel giardino, come un tappeto che si srotola sotto il silenzio; ed i cani non smettevano di abbaiare come se sentissero, per davvero, ogni mio sospiro, e lo rincorressero in questa notte buia, oltre il rettangolo della dimensione che ci è concessa. Quasi una stella, per volta, che si incunea tra le ossa, ed ogni fiato vibra fino ad una fitta all'anima. Mentre da qualche una musica trasborda, giustappunto la voce dell'inquietudine, tesa come una corda di violino. Erano forse le mie vene? Nei miei sogni le tue labbra ci si poggiano sopra e ci depositano un bacio appassionato. Anche se i sogni sono precipitati...
Ma poi arriva il giorno, provvido ed inclemente.
E nel mio orrore gli altri ci scorgono forse il proprio o nulla di più.
****
Dal passato...
E per gioco iniziai a vivere e ad inanellare identità, come ciliege da sputare, l'una dopo l'altra, stella da amputare per rivestirmi con i loro brandelli. Uno o più pensieri e tra di loro desiderio. 
"Ti sto guardando" - mi sorprese la tua voce mentre mi disegnavi la perdizione sulla nuca e mi lasciavi scivolare i denti tra le vertebre.
Sentivo la cera calda e la mescolavo ai brividi ed al dolore, prima che diventasse godimento. E' così incredibilmente labile il confine. Ci penso spesso quando mi fai del male. 
"Non voglio che tu goda".
E mi riempii di gaudio, trattenendo il piacere tra le cosce e prima ancora nella mente.
Ero linea che si estendeva e non smetteva di correre.
Come se inseguirsi fosse la via di fuga più candida che potessi immaginare.
Ed era la più sporca.
Per quello mi piaceva.
"Adesso puoi, vieni".
E io ti sorrisi e mi sorrisi.
E ti guardai.
Mi piaceva l'idea di farti sentire che mi dominavi, mentre sapevo di avere la tua mente in pugno. Esattamente incastrata là. Tra le mie gambe.
E non smisi di guardarti, mentre mi rivestivo.
Senza voltarmi.
Non più. 
Questa è la parte di me che io mi nego, che meno espongo e non confido. Quando lo faccio sento gli schizzi del giudizio, della facciata bianca di case luride. E non te lo dico. Non mi mostro. Nascondo. Ma sai che c'è. E tu sei esattamente come me. Ma non vuoi sentirtelo dire. Posso sussurrartela se vuoi, mentre mi penetri e varchi la mia voglia.
Senza regole.
Solo quando voglio io.
E sento che quel momento arriva.


 

Luna livida

       
Mi possedevi con tutta la indolenza di cui eri capace. E mi lasciavo cullare dalla dolcezza precaria della indecenza mentre mi percorrevi, senza sporgerti oltre la voragine delle mie pupille, non abbastanza, non  quanto io volessi ferocemente e non ti chiedevo. Non chiedo mai, ed è così che separo pula e grano, e vado avanti. Se ti fossi affacciato, sull'orlo della mia devastazione, vi avresti scorto tutta la paura di cui eri capace, tu, proprio tu, ma non riuscivi ad ammettere. Io la sentivo, la trattenevo, come un nastro e ne seguivo le contorsioni; le annodavo alle dita, la strisciavo sulla bocca, e sul collo. Qualche gemito come una stella spuria e mi raggomitolavo, senza tremare, più placida di Ophelia che si lascia navigare, nella tormenta dei miei pensieri. Una ninfea, una donna ninfea, che si lascia lisciare dalla luna. E mi piaceva restare così, inaccessibile, calata a fondo nello stagno fervido e pregno di me stessa. Perchè la tenerezza era la mia perversione, e io non sapevo resistervi. E forse neanche tu, ma non lo sapevi. E io non te lo avrei detto. 
Io mi nascondevo, per essere stanata, come un segreto.
Come ogni donna vorrebbe.
Per essere impalata ad ogni alba dalla realtà che non smette di masticarci i sogni.
E nei miei segni, la traccia, la mia memoria, sospesa tra mente e pelle.
Come una luna livida, anzi di più.
Ribaltata nella vita. 
Così mi alterno, tra bene e male, senza mai scegliere, offrendo loro la linea delle mie vene.
Come un'arpa di carne e fiato.
Inseguimi, fino al confine estremo di me. 
Io sono.



Luna-controluna

              
Il mare è fatto di onde e la terra le ingoia, più o meno regolarmente. O forse è il mare che ingoia la terra. Questione di prospettiva. Ognuno sente il morso dell'altro. Vorrei essere guardata senza essere analizzata, neanche capita. Vorrei l'incanto e l'occasione di uno sguardo puro. Senza una dimensione forse uno scopo. E non sentire il fardello sui miei passi. Sarà quella la dimensione della libertà. O è solo la capacità di sottrarsi dalla rete delle convenzioni. Perchè si può comunicare con un linguaggio non usuale, che non sia una abitudine. Succede con le emozioni. Non sai spiegarle e nonostante ogni tentativo, restano il vestito della tua anima, la loro tunica segreta. Infilami le mani dentro, ovunque tu voglia, e per una volta guardami al contrario. Ma ti avverto, quello è esattamente il punto di non ritorno, come una onda che si perde, forse nel mare, forse sfrangiata sulla terra. Perchè a volte mi offro in pasto, e non so se attendo il boccone o solo il morso, lo strappo silenzioso da me stessa. In quei momenti, che sento in tutta la loro goffa irruenza, io sono dentro di me ed attendo, forse le tue dita, forse le mie, forse il tocco del caso e dell'ignoto. Il mare continua a sputare onde, forse sono carezze, anche se poi non perdona mai. Ed io un pochetto mi sento fatta di mare. Non so esattamente cosa volessi dire, forse lo ho già dimenticato alla fine del primo rigo e neanche so con esattezza cosa vorrei adesso o tre righi sopra. Ho inquietudine mescolata ai tasti ed è un espediente per dimenticarmi, lisciando il mio ego, prima che mi faccia ancora male. Mi conosco e mai fino in fondo ed è quella forse l'esperienza più interessante, quella di  spingerci al limite di noi stessi, stemperati con l'orizzonte. Cosa chiedo in cambio? Cosa sono disposta a perdere? In nome di quale dio se non la mia stessa carne?

Quello di me che tu non vedi è la mia innocenza. Ed è perchè non mi guardi mai per davvero e mi dai la forma dei peccati più segreti. E non sono mai l'ombra del mio desiderio. Se io mi spoglio non è per essere coperta, ma solo sentire il mondo con la mia pelle.  Si può restare innocenti, anche dopo una serie infinita di errori. Questo io vorrei urlarlo. E non so chiedere. Come una margherita afona che ad ogni alba attende la rugiada secreta dalla notte. Ci sono infinite cose che vorrei saper dire, ma non riesco, non più. E sento le cose, prima che capitino, ed è come mozzarle. E poi chiudere gli occhi mentre rotolano e rotolano e rotolano ancora. Non sai quanto fa male, avere la pelle al contrario e sentire il mondo, sempre molto prima. Hai mai camminato sul bordo di un precipizio? Ci vuole una fede immensa nel bene, l'unico dio che io cerco di pregare, devota. E non è sempre l'antitesi del male, ma la forma del sentire più prossima a noi stessi. E non mi afferro, perchè perdersi è la misura più vicina a noi stessi.  

Oltre la cornice i miei occhi...

              
E poi piano, mentre ancora il sole non era alto ho sentito la tua mano perdersi sulla mia schiena. E non sono riuscita a voltarmi, perchè avevo un disperato ed immenso bisogno del mare. L'odore della salsedine si mescolava alla malinconia. Quella nebbia fitta sul cuore che lo fa sgusciare come un pesce, ad ogni sussulto. Sapevo che eri dietro di me e che le tue dita non mi avrebbero ferito. E mi disegnavi il tormento. Esattamente come piace a me. E la tua voce mi colava lenta e forte nelle orecchie. E diveniva sangue. E poi ancora mare.
Domani sarò diversa.
Domani sarò un'altra.
Ho ancora un'altra notte per essere peggiore.
Poi mi cancellerai,
proprio come voglio io,
e ci concederemo un desiderio
soltanto.
Come i condannati.
Raggiungimi prima di domani, prima che io sia perduta.
E poi dannami e condannami all'oblìo.

Ad occhi chiusi...

              
Lo spettacolo della vita, come un filo slentato, scorre oltre il rocchetto, sempre più forte, perchè vuole smarrirlo. Ad un tratto un rewind, e sulle dita frammenti, forse ricordi, o sensazioni deformate. Ne percepisci solo i dettagli. E la vita negli occhi degli altri, nel poco o nel troppo amore. Ed in quello disperato e sbagliato. Pezzi di profondità che si inabissano, e quel dolore, quello del contatto, dell'urto, del precipitarsi, che fa un male incredibile, quasi imbarazzante, oltre ogni logica, ogni sospetto, e che resta a farci compagnia. Irrinunciabile, più del respiro, come un morso di quella vita, un segno del tempo. Chiacchiere e sorrisi, e più o meno ingenue oscillazioni. La semplicità ha un sapore irresistibile. E lo ripeto mentre non riesco a non essere contorta. Mi piace mentre ti ancheggio sui tacchi. Davanti agli occhi. Con i tuoi sensi in pugno. E piace a te. E a me piace che ti piaccia. Non sai quanto. Il cuore è nel pacchetto. E tu lo sai che è solo una mela. E può rotolare lontano, perchè basta una spinta più forte delle altre.  Non dimenticarlo. Quante ore mancano, alla fine di tutto questo? E non smetti di guardare. Ed è quello che voglio. Mostrarmi senza un prezzo da esigere. Il sinallagma è più slentato del filo, di quel filo. E la stadera oscilla pericolosamente. E tu lo sai, io adoro rischiare. Io amo osare, mentre mi scrivo il tuo nome addosso. Mi hai solo riconosciuta, perchè il resto lo ho fatto solo io. Non dimenticare di chiudere la porta quando andrai via. Perchè il senso di tutto è solo la curiosità. Altrimenti io non gioco.
Mangiare, bere, uomo, donna.
Mescola l'amore con il dolore.
Senza preoccuparti.
"Noi, siamo morti già ieri".
 

Luna isterica piange neve

      
E ritorni come una marea indesiderata e con te il vuoto di te. E i miei lividi fanno male, perchè alcune ferite fanno male per sempre. Tu ne conosci il punto esatto. Ed è facile scegliere tra il bene e male. E torna tutto, come una marea furiosa, e arrivano a riva, confuse e sperse, le conferma mai avute e le insicurezze e le paure, tutte sputate addosso. Corsi e ricorsi storici. Eri il custode tutta ferocia dei miei orrori e li annusavi e li spalmavi sulla mia carne. E io lo chiamavo amore. Il succo dell'anima. E la mia sfioriva e gemeva. E questo silenzio, quello che voglio, quello di cui ho bisogno, è solo l'urlo silenzioso della mia mente; già di quella mente che se ne frega di anima e cuore, e che offre il suo corpo e la sua carne, come il più blasfemo degli altari. A volte il silenzio ed il vuoto si sovrappongo. In istanti come questi,  tu vorresti che gli altri sappiano rubarti l'ombra che ricopre i tuoi occhi e aiutarti a rivedere i tuoi colori. Ma ognuno ha le sue ombre ed è geloso dei suoi colori.
E mi nascondo sotto le mie palpebre.
E questa volta non voglio essere cercata.
Perfida in_esistenza.

 

Lanterne rosse

              
Poi senti l'estraneità delle cose e delle situazioni. E di te stessa. Un velo di rossetto, e ti riempi di frecce verso l'indefinito. Non provare a seguirle. A volte basta a donarti un brivido, altre no. Attendi la scintilla che ti rimescoli il sangue. Osservi. Senza trattenere. Il mondo si adagia nel nuovo giorno. E non è mai d'improvviso. Ed io, sempre in precaria astensione, mi rannicchio tra la luce che la notte sa raccogliere. E nel buio vedo meglio. I pensieri tappezzano il mio soffitto e non si fermano, fino ad intaccare il cielo, che, beato, continua a mostrarsi con il suo tappeto di luci. E fanno compagnia, mentre mi frammezzo e mi stempero nell'esistenza, liscia e pura, come solo la vita sa e sa far fluire. E se cerco di comprendere quale sia l'attimo da trattenere, e se ve ne sia uno, penso alle emozioni più grandi e mi viene in mente sempre e solo l'arte, capace di suscitare in me immensi "sprofondi". Oltre ogni logica. Avrei bisogno di un pieno di bellezza, da nascondere dentro e centellinare nelle mie notti senza luna. Sono la luna nera dei miei paesaggi senza artifici e senza inganni. Un altro strato di rossetto e avrò una bocca a forma di cuore. E per spezzare questa linea dritta, che si spinge, tratto dopo tratto, respiro dopo respiro. Ma non chiamatela apatia, perchè io non esisto. E la misura delle mia esistenza, non so trovarla dentro di me, in un qualunque punto 0. Come una mela, con il suo cuore disegnato sulle labbra.
Vorrei sapermi vedere con i miei occhi.
E all'improvviso una immensa e smodata voglia di dolcezza. Quella dolcezza, cruda e sincera, di baci strofinati sulla pelle, fino a riempirla di brividi e lividi, in una dimensione che sembra fatta di nuvole e quasi le puoi tagliare, con il suono dei violini dentro di te.  Non sono una bambola di pezza, nè una regina. Sono una donna. E quell'onda, più lenta del piacere, quello vero, quando arriva, poi, ti ruba piano piano, ingorda e sorda, il fiato, e la respiri, come se tu fossi, a tua volta, solo un'onda, null'altro che una onda che si perde sulla spiaggia. E tra un minuto non sarà altro. Perchè altro non può. Mi fa paura, perchè così aspettando la dolcezza, come una marea, mi hai rubato i brividi dalla pelle. E io non so più tremare. E ti confesso che, nell'intimità mia, non ho sentito ferito più il pudore violato, di quell'istante. E come una cosa, forse una pietra, a volte ancora tremo. Ma tu non devi saperlo.

no.luna...no.party

      
...e te lo vorrei spiegare il mare. Ma non riesco. Ed è proprio così, come a volte sono io, e sono io con te, senza trucchi e senza inganni. Non voglio fingere e mi sto mostrando, come la luna, quella luna, di quella notte, che sicuramente lasciava ondeggiare la sua immagine. E mi sporgo. Senza preoccuparmi del tempo e della logica, e mi declino, come un verbo che è alla ricerca del suo tempo, perchè può solo immaginarlo. E te lo vorrei proprio spiegare il mare, proprio goccia per goccia, come quando chiudo gli occhi e ti sento e altro non so fare. E ci sono regole che io non so rispettare, perchè le ho sempre odiate. E poi violarle rende la misura di ogni possibilità. E mi slento, come una onda, senza direzione. Perchè se ci pensi il mare porta tante cose e spesso i suoi sono doni, imprevisti, come ritagli della immensa tasca della provvidenza. E te lo spiego il mare e lo stacco dal resto e te lo infilo nella mente e io con lui. E adesso provaci a farmi uscire. Mi batte il respiro, attento non è il mare, il mare non è ancora arrivato. Perchè quando arriva non te ne accorgi, ma l'istante dopo sai che c'è stato e neanche ti importa se ancora c'è. E mi batte ancora il respiro. Perchè il segreto è che il mare deve essere stato donna; forse per un istante, perchè dopo non conta. Non più.

una freccia verso il cuore...

               
E la disegno e la cancello. Destinazione paradiso? No, non mi interessa. Mi incuriosisce il lato oscuro della luna, perchè io sono un angelo inverso. Se mi spiegassi, forse sarei già persa tra le parole, così goffe e tenere, come petali di carne che si inseguono, si adagiano, si sfiorano, si strofinano. In uno strano cerchio, qualcuno lo chiamo orgasmo, io me ne frego perchè è solo un piccolo artificio della mente. C'è un segreto quasi mistico nella solitudine di un'anima. Nel suoi toccarsi i bordi, senza riconoscere il bene ed il male, quasi limitandosi a registrare ogni variazione, come se fosse vento. Ed il vento, si sa, non ha limiti nè regole. Lo subisci e altro non puoi, se non annusarne la direzione. Tutti parlano di sensi, di intrigo, di fascino. E io li osservo, e registro la vita, come se lisciassi il tronco di un albero, e precipito, con le mie dita, in tocchi, squilibri e disarmonie. E poi altro non so e sussurro, inneggiando alla semplicità delle cose che non chiedono altro che altre cose, non come causa ed effetto, ma come occasioni. Ecco, io sono l'occasione di un frammento di vita, nuda e purissima. Proprio un ossimoro, come piace a me. Forse. E guardo, infrangendo il buio, e quello che vedo è irresistibile. Una ferita, un segno nella carne, un promemoria tra vena e vena. Esisto, oltre questa notte e quella successiva, e mi racconto, e credimi, non so smettere di strisciare le nocche nel buio, come se fosse una porta segreta; quella dell'orrore di cui sono capace.
Così una lacrima e forse una perla nel palmo, fino a rigarmi le linee, ed intrecciarsi come edera alla mia inquietudine. Radici di un albero sperduto e la sua linfa nel mio ventre. Traiettorie, forse scie, frecce verso l'indefinito ed il suo fascino con uno e mille colori, perchè li puoi pensare nella testa, uno per uno. Non ho verità, ma solo certezze mute ed immemori, senza più sangue, sangue di stella ed i suoi frammenti; sapessi quanto ferocemente tagliano e fanno vibrare le vene. Un tempo ero fiume e vorrei tu potessi vedere le tracce adesso su di me, sulla mia carne, dell'acqua che ho scorso e che precipitava oltre me ed ogni riva. E ora, allitterata come una vecchia canzone, quasi sponda della deriva di me stessa, mi avvolgo in una noia fitta come nebbia, fino a diluirmi e dimenticarmi. E non esistere è la misura del mio sogno. Forse la poesia del divenire ci salverà. O ci bacerà appena l'anima. Eppure a volte penso che vorrei assaggiare la tua bocca, lentamente, come se fosse rosa. Senza pretesa alcuna che di respirarti vicina. Eppure la vertigine più ardita è solo quella di essere capita, fino in fondo, fino alla fine di me stessa, senza via di ritorno e senza tregua. Ed oso e lo confesso, rea nell'odore di me stessa. E di quello che resta.

La caviglia di luna...

              
E questo giorno mi adagia nella realtà con la ruvida sincerità della terra. Dalle mie parti, nelle notti di estate l'odore della terra calda  si sperde nel buio e nel vento, fino ad accarezzare le stelle, e quasi ti scarnifica fino ad arrivarti alle ossa. E buca la tenda ed il rettangolo della mia intimità mentre la luna sembra il ventre della notte. Il mio respiro contro la tua schiena ed il mio cuore che ti batte addosso. Potessi raccontarti gli intervalli tra un battito e l'altro. La luce inclemente mi riga la schiena e mi rivesto di frammenti di pudore, prima di infilarmi nelle ore che mi attendono voraci. Così ti porto nella mia tasca e a volte ti stringo tra le dita, più di una promessa. Invisibile come ogni fantasma del cuore.
Eppure avrei solo bisogno di essere sedotta, ancora e ancora.
Ancora me lo ricordo tutto lo stupore che mi hai infilato dentro.
E all'improvviso è esploso, come un fuoco d'artificio,
lasciando dietro solo un grande buio.
E non smetterò mai di mostrarmi fragile. E poi succede che gli altri sanno calibrare il punto in cui i lembi della ferita cedono più facilmente, per assistere alla deriva di me, che non è solo confusione, ma molto altro. E a volte vorrei spiegarvelo, come si sente un albero senza la sua chioma, a rastrellare stelle, con i suoi rami. Ed è molto più facile essere infelici che felici. Me lo ripeto sempre, mentre mi ridisegno la bocca, con deliziosa dovizia. E segno furiosamente il confine tra i miei occhi ed il resto. Le mie lacrime hanno un sapore irresistibile. Forse era oggi quando è successo, o un altro giorno. Cosa cambia? Ed è stato quello l'istante in cui sono stata felice. Sicuramente avrò vissuto tanti, tantissimi istanti bellissimi, ma se io penso alla gioia pura, è tutta infilzata in quell'istante, di commovente e struggente bellezza. Perchè io non sapevo ancora ascoltare il mare, allora.

Luna indecisa e mangia lamponi

        
Ed il foglio non sarà mai più bianco. Quando rimuovi, sposti, decidi, volti, ti volti, ti sporgi, ci ripensi, restano tracce. Siamo pieni di tracce degi altri, ed il foglio ha un colore, quello della vita. Non saprei descrivertelo. Ma ci sono cose che devono essere fatte. Pagine da voltare di storie mai scritte. Un sospiro, forse un altro, e pezzi di storie, di fiabe, di poesie, o solo di quotidianeità, sogni e bisogni, da nascondere sotto le impronte della esistenza. Sotto le unghie. Perchè il prossimo graffio farà molto male. Chi c'è...c'è.
E l'odore del mare calma,
e sembra che cancelli,
mentre in realtà rimescola,
perchè il mare
è un immenso coperchio.
...Un passo e poi l'altro e la distanza sarà meno insopportabile.
La noia mi fa scintillare.
Strano vero?

Strano come infilarsi in un sacchetto di raso e lasciarsi scivolare


E piovono rose, solo perché non so smettere di contemplare il cielo, dopo averlo capovolto. Un cielo ribaltato, e noi con lui, con il cuore sempre al centro, maledettamente equidistante, da qualsiasi periferia sappiamo concepire. La poesia del sangue che scorre e non si ferma ha una crudeltà ed una sua illogica bellezza, selvaggia e violenta, che pare celebrare dentro di noi infinite piccole albe. E sì, piovo rose, perché è così che la vita prosegue, immaginandocela nel modo più dolce e lieve possibile, ancorata a quel filo che sa di speranza, imbrattato dall’amarezza che ci è stata schizzata maldestramente dall’incalzare dei giorni, dal loro inseguirsi, dalla paura di vivere, e spezzata dal gancio verso il futuro, che a volte si annoda intorno ai polsi e quasi  li stritola. Un promemoria. Passi incerti e speranza, oltre ogni coltre, ogni nebbia, bucata dalla voglia di futuro, che ci colora il mondo, anche quando chiudiamo gli occhi, e restiamo ad occhi chiusi.

Anti.luna

              
Mi detesto, quando mi rivesto di tristezza, una coltre di velo che io stessa non riesco a strappare e che graffia. Carne e ricordi, ed indifferenza goffa, sempre la stessa, mentre gli altri non sono gli stessi. Forse pianeti, a volte dispersi, sospinti dai calci del destino. Ho una mia idea personalissima della dolcezza, e non ha fronzoli nè rimessi, ma è una linea retta che sa pungere il cuore. Una miriade di piccoli pizzichi, con sospiri per virgole. Come se ci scalassimo, senza regole e senza misure. A volte santa - poche, a volte puttana, e non mi riconosco mai nella mia sagoma, ma solo nella luce in fondo ai miei occhi, quella che vede solo chi ti sa guardare per davvero.Un vuoto, che ingombra, e la difficoltà di comunicare, di provare, di sentire, come dopo un ingorgo. Troppo di niente. E la mia inquietudine che diventa solitudine, perchè non si stempera, ma scava, rovista, oltre ogni bisogno di essere compresa.
Per quello ti consentivo di prendermi, senza spogliarmi mai.
Mai del tutto.
E quel piacere era una corda che si intrecciava, fitta e silenziosa, al mio tormento.
Come una luna inquieta, che piange e gioisce, in un rettangolo, come se fosse il suo cielo segreto.
Perchè io detesto la perfezione; la sottendono le stesse regole della cattiveria.