Ascoltare la voce del mare. Ha inspiegabili picchi ed inflessioni, ed io la seguo come un nastro che si slega, oltre le mie ciglia; mi sporgo con il respiro e la voglia di star bene. E tutto trema, come un miraggio. Una e mille voci si sfiorano e mordono le mie paure che non mi toccano più. Ho questo inspiegabile peso della incomprensione, un macigno che ottunde e non sento più la poesia del flusso della vita, i suoi riccioli sparsi; come se all'improvviso io non riesca più a sentire altro che il battito confuso della mia mente e la mente ovunque. Ed ogni contatto amplifica la distanza, e mi proietta lontano come una stella senza luce, ribaltata sotto il soffitto, tra gemiti senza anima. E senza firmamento alcuno. Ed è così imbarazzante il vuoto che provo, goffo ed austero, immemore e feroce, nello stesso tempo. C'è troppo di niente. Ed è immobile e si intreccia al respiro. Forse basterebbe un raggio di sole buono, proprio quello che non sembra mai scalfire il mio cielo. Ed è racchiuso in una mano. In quel tocco che non fa male.
Ed è così che ho smesso di notare i dettagli, perchè l'essenziale è sempre e solo nell'essenziale.
E in null'altro.
Ed è sempre tutto così poco chiaro.
Da non aver bisogno di altre spiegazioni.
Perchè io non voglio sapere.
E mi rifugio nella periferia di me stessa, perchè nel centro c'è senza dubbio troppa confusione.
Nessun commento:
Posta un commento