L’odore della terra rassicura sempre. Inebria e ferma. Le sue crepe divaricate dalla calura cesellano un segreto. Infiniti. Uno e più. Una sorta di grossolano filtro tra noi e l’indefinito, a cui si sottraiamo, perché la dimensione del dubbio ci rende così fragili, precari come il silenzio di una notte d’estate, o la memoria di una coscienza foderata di buio. Alcuni flussi riemergono e ci perdiamo nella risacca di onde cariche di feroce desiderio di conoscere, di condividere, di sentire. Eppure la incoerenza è un vezzo che si paga a caro prezzo, anche se ti stordisce, per il piacere che sa donare. Mi genufletto e mi ritrovo perplessa in un punto di domanda, che poi sono una serie di interrogativi, quasi graffi sulla carne, mescolati alle vene. Si spingono verso l’ignoto e tutto questo ha un fascino che gioca con il fiato e mi riempie i polsi di brividi. La nostra verità è incastrata dietro ai nostri errori più sinceri. Una austera imperfezione che ci condanna.
Abbracciami, quando mi volterò ed impediscimi di aprire gli occhi. Non voglio.