Sospesa in un giorno qualcunque. Non chiedo. Non guardo. Non ascolto. Neanche sento. Sembra la fiera delle negazioni. Il patrimonio di chi non ha nulla, o quasi, da dire. E si limita a dissentire. E ricorda. Perchè le cose hanno bisogno di decantare. Di adagiarsi sul fondo. E cospargerlo della lentezza. E dal fondo riemergere. La vita intorno ha una poesia che non so cogliere. E non è la goccia che si spacca nel lavabo. Massacra attimi con approssimata regolarità. E' nella vita. Nei suoi movimenti sordi. Fatti di sangue silenzioso e composto. Non c'è nulla che mi stupisca. E accolgo tutto. Anche il male. Anche il diprezzo. In qualche momento lontano, forse in un'altra vita, mi sono convinta di meritarlo. Come se fosse un attimo di gloria inversa. La celebrazione del non_ritorno. E ho incominciato a buttarmi nelle emozioni a capofitto. Senza percepire altro che l'urto dell'impatto. Emozioni immobili e circospette. Mi guardano con gli occhi sbarrati. E un certo disappunto.
Mi vesto di parole.
Mentre le tempie di esplodono.
Come se fossero la gabbia di farfalle in delirio.
Mi vesto di parole.
Ma non dico mai quello che voglio.
E' ancora sul fondo.
Nel mio presepe?
C'è una cartolina, un tappo di bottiglia, un'ape, una mela e un ragno.
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