E disegno il tormento. Unisco i palmi e gli lascio bere l'anima. Lentamente, come piace a me. E non sarò mai più la stessa. Questa volta devo sperdermi. Diluirmi e lasciarmi piovere lontano. E il mio tormento non ha voce ma il suono dell'acqua che scorre e si allontana e si dimentica. Una nenia di fiori che seguono le luce sui loro petali, quella stessa che ad ogni alba si ostina a dargli vita, vita benedetta e candida. Anche se solo per poco. Il mio tormento è il sangue delle stelle che si perde in un cielo troppo scuro e macchia le vene. E si nasconde e si frammenta in rami e parole. E non mi impedisce di sognare. Non più del necessario.
Io odio i sogni quando perdono il loro candore e la lieve forza che li rende capaci di restarci lontani.
Sporche proiezioni del desiderio.
Sogni senza mani.
Solo ali sconosciute.
Senza bisogno.
Prima di diventare corde da afferrare e a cui legarsi per nascondersi nell'impossibilità.
Ed è proprio nella notte che mi sento protetta e vera.
Nuda come una stella che non rinnega il suo sangue ed i suoi errori.
E sputa luce.
Ma solo quando vuole.
Una stella bastarda.
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