Quel bisogno disperato, inutile e grondante di disillusa e asfittica gravità - come solo la disperazione sa e sa essere - all'improvviso, quasi ti schiaccia e ti spinge e ti costringe. A tornare indietro. Un passo ed un altro. Le ginocchia che si sfiorano. Le caviglie che si incrociano. Non è un ritorno nè una resa. Quasi si sovrappone senza diventare endiadi. L'orrore che si specchia con l'inutile. Senza guardarlo mai negli occhi. Ti riduce a farti nastro. A riavvolgerti. Insieme ai tuoi passi. I sogni sotto il braccio. Un vortice di donna e seta e dolore. Astratta. Come squarciare un velo, un lenzuolo o un nuvola. A disegnarti contro il muro. Sempre più astratta. Polvere, sangue, vertebre e respiro. Ed ogni respiro sentire graffi e carezze sulla schiena. In una alternanza iniqua. Ed una voce. Mai la stessa. E' disperato, ed urlato, morso e sputato, quel bisogno di dire tutto e di non lasciare nulla di non detto, di non provato, di non pensato. Di ripulire ogni traccia di pensiero con le parole. Di asciugarlo nel sole. Come se i pensieri fossero panni umidi desiderosi del calore e della luce. Di liberarsi da quell'olezzo maldestro e precario, quasi pungente. E tutto potesse prendere il suo senso ed il suo significato, solo se illuminato, nella luce giusta, inesatta, ma confortevole e buona, e solo se perfettamente asciutto, oltre ogni margine di umida titubanza. Al di là di ogni plausibile incertezza. Per quel bisogno, quella voglia, per quel delirio, mi sono persa. Sole dopo sole. Come una palla da calciare lontano. A sfondare il cielo, come una finestra. Mi sono stordita ed ebbra ho vagato nell'alternanza del buio denso e della luce invadente. E adesso continuo a dire, e ridirmi addosso, fino a vestirmi fitto di parole e solitudine lurida. Non sono mai stata più sola di questo adesso. Svuotata e vuota fino al fondo, come una bottiglia frantumata. Perchè ho provato l'euforia del gioco imperfetto. Quello che non finisce mai e nel quale tutti vincono e tutti perdono. E nel cercare qualcosa, qualsiasi cosa sia. Datemi quello che volete, anche la cattiveria, purchè sia vera.
E pettino la mia malinconia.
Infiniti colpi di spazzola.
Fino a rigarmi cranio e pensieri.
Ed è come rovistare i ricordi.
E spogliare le bambole.
Erano le prove tecniche del mio essere donna.
Le dita intrecciate, le labbra sopra il vetro.
Prima di posarle sopra un foglio e premerci una speranza, a stampo.
Destinazione paradiso.
Uno qualunque.
Magari piccolo e modesto.
Nulla di pretenzioso.
Non sono un angelo.
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