martedì 3 aprile 2012
*
Noa si sporse e le sembrò, per un istante, o giù di lì, che il mondo avesse fatto capolino, all'improvviso, dentro la sua stanza. Come se guardare significasse, a sua volta, essere guardati, dentro una lente. E poi dilatati e poi ridotti in un'inesattezza che consolava e rassicurava. Dove nessuno ti chiede di essere di una certa misura. E dare tanto o poco. E per essere giusti serve solo lealtà. Era come se con gli occhi ci si scambiasse vita. Si divenisse, anche se per poco, l'altro che ci guardava. Noa si strofinò gli occhi e mise a fuoco. Con tutta la lentezza di ciò che si è a lungo rimandato. Così rimase nell'incertezza tremula di una visione un pò deforme ed un pò fantastica. Finchè il mondo si ritrasse e sentì tutto intorno un vuoto asciutto e riservato. Come se fosse nuovo. Pronto per essere riempito ancora. Nuovi scaffali da montare e tende da stendere al sole. E lenzuola fresche di bucato. In un angolo c'era il passato e le terrine di sua nonna, zeppe delle sue carezze. Ed il maglione di suo padre con tutto l'odore di quell'amore mai detto fino in fondo e la collezione polverosa di santini dietro un cellophane che le impediva di risentire tutte quelle preghiere, forse vane o forse no. E c'era la pila dei suoi libri che inondavano il comodino. Le era sempre piaciuto vivere come se fosse accampata, con il fuoco oltre la tenda. E le provviste sul bordo del lettocapannatappetoealtro. Ritrovarsi il calore addosso stretta ad un lenzuolo sconosciuto, perchè impregnato di fantasia. Era così che era passato il tempo. Ed era così che aveva smesso di consentire al mondo ed alle sue farfalle di fare capolino. Adesso era lei che si sporgeva e lasciava dentro tutto ciò che avrebbe voluto non andasse via. Ma ogni volta era inevitabile. Perdere un pezzo e impalarsi all'altare della imperfezione. Come una donna errante. Una donna in divenire. Con la sua tenda ed il fuoco dentro e fuori. Lo siamo tutte e tutte possiamo comprendere. Come se avessimo fili invisibili da afferrare in alcuni momenti e scuoterli senza tregua. Finchè qualcuno riesca e sappia arrivare ad accarezzarci i polsi. Senza poterli nè doverli spezzare. Solo toccare fino al punto in cui battono senza vergogna. Perchè su quei fili ci sono le tracce e le scintille e le impronte di tutte quelle che prima di noi li hanno toccati, ne hanno avuto bisogno, hanno dovuto. E capita proprio a tutte. Fino a lasciarli andare. Senza dimenticarsi di quella rete dolcissima e sincera che intorno esiste. Nonostante noi. Perchè la bellezza è capirsi senza parole, ed è saper accantonare e andare avanti anche se ci sembra impossibile. Nessuno è indispensabile, tranne noi stesse. E l'idea che ogni volta che si manchi di rispetto al cuore di una donna qualcuno sta tentando di strappare quei fili mi sconcerta. Forse l'ho fatto anche io. Ma ho ricucito sempre. Ed in silenzio, con il cuore e con la mente, perchè ciò che è forte e sincero non ha bisogno di ostentazione. E si disegna taciturno, senza più regole. Noa si stese sul suo tappeto d'erba e sentì che solo così sarebbe stata sola. Come un puntino. Con la schiena contro la terra, impedendosi di farsi ombra, perchè, era lei l'unico ostacolo tra sé ed il sole.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento