O su tacchi oscillanti, la vita procede
e non le importa del flusso indaco dei tuoi pensieri, piccola Sara. Non
parlo quasi mai di te. Perché ho voglia di proteggerti, da tutto quello che le
altre parti di me potrebbero farti. E forse ti hanno fatto, nella incoscienza
più o meno effimera. Ti accarezzo e ti cullo, ogni notte e ti abbraccio ogni
mattina, per riuscire a lasciarti nel tuo angolo, mentre vado via. Quasi
nessuno ti conosce, forse neanche gli importa. E io ti nascondo dietro al
cuore, anzi no, tu sei il pezzo più segreto del mio cuore. E non serve
descriverti, o farne la peggiore profferta, perché non esisti, se non nei miei
meandri più oscuri. Sono quelli in cui i colori prendono forma e smettono di
essere segreti e sono sogni. Quelli più intimi e dolci, fatti dei sorrisi
dell’infanzia e del profumo di mia nonna, mentre le spazzolavo i capelli, e lei
mi raccontava di un mondo solo nostro. Mi parlava di una bambina che viveva
dall’altro capo di un telefono immaginario e io aspettavo che arrivasse, che
venisse da me. E non smettevo di accarezzare i suoi capelli, nei pomeriggi in
cui gli adulti si ostinano ad ordinare ai bambini di dormire, mentre non ne
hanno affatto voglia. Nella mia terra, d’estate il mondo si fermava -ancora
adesso succede- e diventava immobile, e l’odore del mare ti circondava ovunque,
mentre la voglia di libertà si incollava alla pelle intrisa ancora di salsedine
e sabbia. Prendere una bicicletta e fuggire, nel silenzio della casa, per
lasciarsi frustare dal vento, ed assaporare il piccolo piacere della disobbedienza.
Forse un ghiacciolo e poi tornare alla normalità, nel sole più feroce e
sfacciato che io possa ricordare. La memoria stempera e livella e restituisce
odori, sapori, come pugni sul cuore. E noi quattro, nelle mura di casa, a volte
piccola, altre immensa, ed intorno al tavole, con le pesche al vino nel
bicchiere e l’odore della notte in agguato. Gerani e zanzare, ed io e mio padre
nell’imbuto della notte, a chiacchierare; come se fosse adesso. Ma non è
adesso. Neanche ieri. Non è tanto tempo fa, ma è per sempre, la dimensione in
cui ti lascio piccolina mia, oltre il male che ti ho tentato di fare, e che ti
farò, anche se non voglio. Oltre l’afa di quella estate e dei dischi sul
pavimento. Le dita si raccolgono come petali di un fiore, che ha solo paura di
soffrire, e si richiude. E che sente che il suo tempo è finito. Perché piccola
Sara, nessuno può farti del male se non te stessa. E se gli altri mai ridessero
del tuo dolore, in fondo riderebbero solo del loro. Nessuno può sporcare i tuoi
sogni se non lo permetti. Nessuno, se non proprio te stessa e la parte peggiore
di te. Gli altri non possono. E tu non smettere di sognare, di tremare, di
affidare i tuoi pensieri più segreti al vento. Così nessuno potrà più
rubarteli. E resteranno tuoi per per sempre, come i sogni più belli, fatti di
istanti e di autenticità. Senza che una inevitabile fine li scalfisca.
Solo tuoi. Nella tasca del tuo cuore. Oltre il tempo. Oltre questo misero
tempo.
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