Mescolo le carte. E ne manca sempre una. Le conto e le riconto. In tutti i versi. Ne faccio mucchietti. E poi ricomincio. La conta è rumorosa. Mi assento e torno. Le carte si adagiano. Invano. Non so quale manchi. E se manchi davvero.
Chi decide che il tutto debba avere un sigillo di una completezza?
La completezza non ha nome.
Nè regole.
Nulla è più relativo del tutto.
Siamo circonferenze spezzate. E i nostri margini si avvicinano senza arrivare. A volte si sovrappongo. Senza collimare. E' nell'incompiuto che si celebra l'esistenza. E le parole scivolano via. Inutili e avare. Mi avvinghio a ciò che sento. E potrei scalare una montagna. O forse saltare un solo scalino. O scivolare lontano. Ma ho controllato. Il sangue ancora scorre. Sta pulsando e vivo. Di sangue che mi riempie. Di vita. E di vita sognata. E poi è lo stesso. La mia testa è la mia sola casa. E a volte è il mondo. Non ho più bisogno di dovere dire. Mi basta pensare. E riempire di silenzio le parole. Osservo. E mi piace. In fondo è la vita che ci accomuna tutti. Oltre ci sono solo le parole. Scintille che lasciano un grande buio.
Confondo stelle e margherite.
Che differenza c'è tra un prato ed un cielo?
E' solo questione di prospettiva.
E di postura.
Testa alta e spalle dritte.
Confondo il cielo con lo sguardo.
E poi non ci riesco.
Ho il maledetto vizio di fissare la gente negli occhi.
E mi distraggo.
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