Non so raccontare. E se anche lo sapessi fare non saprei comporre la storia. Sentirne la musica feconda. Fatta di battiti. Lasciarmi fasciare di abbracci le spalle. Fino a sentirmi compresa e compressa in un cerchio. Di parole strette strette. Mi perderei nei dettagli marginali. Incastrando i protagonisti in un angolo sperduto. Lontano. E poi lasciarli morire di inedia. In cerca di una fine. Una qualunque. Non so legare parole e fatti. E vita. Io trattengo. Amplifico. E distruggo. Cerco di spiegare le cose dal di dentro. Di spingerci dentro sostanza venefica e aria. Fino a sentire che stanno per esplodere. Per poi lasciarle vagare. E contrarsi. Come se fossero palloncini fatti di anima. E io fossi il sangue che disperatamente riga le loro pareti. Le irriga di segni che nessuno può vedere. Ma solo intuire. E vestirsi di percezioni. Una rete a maglia per il cuore. Attenta a non lasciar scappare quello che c'è dentro. A imbrigliarlo. E a non lasciare entrare chi sta fuori.
Dentro e fuori.
Due lati della stessa dimensione.
Lo specchio pieno e quello vuoto.
Assolutamente fuori tempo.
O troppo dentro il tempo.
E il vento trasporta i suoi suoni.
Li sdraia nella polvere.
Il suono di mille viole impazzite.
E il tutto ed il niente si rincorrono.
Fanno all'amore, disperati ed affamati.
Il tronco di un albero è la casa delle possibilità.
E mi rannicchio nel suo utero.
Come se la sua linfa fosse il mio sangue.
E forse è così.
E di morbide astrazioni di cibo.
E astrattamente mi perdo.
Non ci avevo mai pensato.
Ma io non lo so cosa ci sia dietro ai miei occhi.
Dormimi dentro se non puoi dormirmi addosso.
non credo sia sempre necessaria una storia per poter "raccontare".in fondo raccontare non significa altro che narrare un'altra volta dando un verso,una direzione da seguire.saluti sma.
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